Eppur si muove? Finalmente il procuratore della Corte penale internazionale (ICC), il britannico Karim A. Khan, si è recato in Israele e in Cisgiordania, dove ha incontrato i parenti delle vittime e degli ostaggi israeliani e le massime autorità palestinesi. Nelle sue dichiarazioni, Khan è stato molto esplicito sugli attacchi del 7 ottobre. Essi «rappresentano uno dei più gravi crimini internazionali che sconvolgono la coscienza dell’umanità». La corte è pronta a perseguirli.

A Gaza: «i civili devono avere accesso al cibo e all’acqua e hanno bisogno di forniture mediche». I luoghi di abitazione, di culto e di istruzione devono essere protetti e «immaginate il dolore per operazioni sui bambini, o su chiunque altro, senza anestesia».

Le violazioni del diritto internazionale umanitario da parte di Hamas e degli altri gruppi armati continuano, ma la risposta di Israele «è soggetta a chiari parametri giuridici che regolano i conflitti armati». Certo il conflitto nelle aree densamente popolate in cui «i combattenti sono illegalmente inseriti» è intrinsecamente complesso, ma «il diritto internazionale umanitario deve essere applicato» con i suoi principi di distinzione, precauzione e proporzionalità. Le Forze di difesa israeliane lo sanno e hanno ottimi avvocati. «Le accuse attendibili di crimini durante il conflitto in corso saranno oggetto di tempestivi esami e indagini». Khan denuncia anche i ripetuti attacchi compiuti in Cisgiordania, dove nessun colono armato «può pensare che sia aperta la stagione di caccia ai Palestinesi», ma omette di ricordare la volenterosa collaborazione delle forze armate israeliane. Ricorda piuttosto che Israele, come potenza occupante, ha l’obbligo di indagare su questi crimini, perseguirli e prevenirli.

Il procuratore appare molto determinato, eppure la lettura di queste dichiarazioni lascia un senso di inquietudine. Per i palestinesi si usano le espressioni “war crimes”, “ongoing violations of international humanitarian law”, “unlawfully”. Per Israele le formulazioni rimangono dubitative od ottative (il dovere di rispettare il diritto internazionale). Si ha insomma l’impressione che ci sia un doppio registro.

L’inquietudine, purtroppo, aumenta sulla base dell’esperienza degli ultimi anni. Fin dal 2009 la Palestina ha accettato la giurisdizione della ICC, ma a fronte dell’imponente raccolta di evidenze di crimini di guerra da parte di agenzie indipendenti – come la commissione Goldstone delle Nazioni unite relativa a “Piombo fuso” – la Corte a oggi non ha preso nessuna misura effettiva; neppure un ordine di comparizione.

Nel 2011 l’allora procuratore Luis Moreno Ocampo (che oggi definisce l’assedio di Gaza un genocidio) ha deciso di non decidere sostenendo che non era chiaro se la Palestina potesse essere considerata uno Stato. Ha chiesto lumi all’Assemblea generale delle Nazioni Unite e a quella degli Stati membri della ICC, organismi politici, anziché agli organi giurisdizionali della Corte. Nel 2014 la Palestina ha ratificato lo statuto della ICC divenendo uno degli Stati membri. Dopo cinque anni la procura ha concluso le indagini preliminari rilevando l’evidenza di crimini di guerra a Gaza e in Cisgiordania; ma la procuratrice Fatou Bensouda non ha aperto formalmente il procedimento, sempre per la questione della statualità della Palestina, di cui ora è stata investita la Camera preliminare della ICC. Perso un altro anno, si è arrivati alla decisione che sì, la Palestina è uno Stato e il suo territorio, su cui la ICC ha competenza, consiste in Gaza e Cisgiordania. La procedura è avviata, ma dalla nomina di Khan le indagini sono rimaste ferme e comunque sottofinanziate (nel 2022 alle indagini per la Palestina non era destinata alcuna risorsa, nel 2023 un quinto di quelle previste per l’Ucraina).

Oggi Khan dichiara: «Il mio messaggio è stato chiaro. Questa è un’indagine attiva» e «costituisce una priorità per il mio Ufficio». Assicura che «quando l’azione è intrapresa dal mio Ufficio è condotta sulla base di evidenze oggettive e verificabili che possono reggere all’esame dell’aula» e che «quando procediamo abbiamo una prospettiva realistica di condanna». Peccato che lo standard della “realistic prospect of conviction” introdotto da Khan sia irrealistico per Gaza: in questi casi si indaga preliminarmente a partire da prove indirette allegate da organizzazioni e comitati.

Spicca la differenza con il caso di Vladimir Putin e Maria Lvova-Belova, incriminati (peraltro gli unici con pelle bianca) con mandato di arresto il 17 marzo 2023, a poco più di un anno dall’aggressione all’Ucraina. Del resto la ICC non è nata bene. Sembrava la realizzazione del progetto di «pace attraverso il diritto» proposto più di mezzo secolo prima da Hans Kelsen. Ma la Corte è sottomessa al Consiglio di sicurezza, che può sospendere le iniziative della Procura (art. 16 del Trattato di Roma), e non aderiscono Stati Uniti, Cina, India, Russia né le altre potenze nucleari, ovviamente compreso Israele, a parte Francia e Regno Unito. In questi due decenni l’ azione della Corte è stata marginale e il doppio standard è stato la regola, fino a replicare quella che Danilo Zolo chiamava «giustizia dei vincitori».

Il massacro di Gaza potrebbe essere l’occasione per la ICC di riabilitarsi, di divenire un elemento di una nuova stagione per le istituzioni internazionali che i passi intrapresi dal segretario generale Antonio Guterres lasciano sperare. Potrebbe.

* docente di Filosofia del Diritto all’Università di Camerino, Presidente del Centro Jura Gentium