Nella sentenza con cui ha demolito la legge elettorale Calderoli, la Consulta ha anche costruito le premesse per sbarrare la strada alla principale riforma costituzionale, anzi l’unica, proposta di Matteo Renzi. Il segretario del Pd ha detto di puntare a una trasformazione radicale del senato, più spesso ha parlato di «cancellazione». Ieri sera è andato «a divertirsi» dai senatori Pd, cioè a chiedere loro di presentare una proposta di legge costituzionale in quella direzione. I nuovi senatori non andrebbero più eletti. Ma cooptati tra gli amministratori locali. A palazzo Madama dovrebbero sedere i presidenti di regione e i sindaci (quali? quanti? non lo ha detto, di certo non tutti gli ottomila sindaci italiani). Il nuovo senato «delle autonomie» non voterebbe più la fiducia al governo, perderebbe peso politico ma conserverebbe una quota di potere legislativo. Almeno quello fondamentale di revisione costituzionale, insieme alla possibilità di richiamare alcune o tutte le leggi che riguardano le competenze regionali – neanche su questo Renzi è stato preciso.

Nella sentenza diffusa lunedì sera, però, la Consulta si è espressa con forza sulla necessità di rispettare «la volontà dei cittadini espressa con il voto» che, ricordano i giudici, «costituisce il principale strumento di manifestazione della sovranità popolare secondo l’articolo 1 della Costituzione». Si parla dunque dei principi fondamentali, in nome e in applicazione dei quali è stabilita la composizione dell’organo di rappresentanza politica, il parlamento, «che è al centro del sistema di democrazia rappresentativa e della forma di governo parlamentare prefigurati dalla Costituzione». Le motivazioni dei giudici si riferiscono al premio di maggioranza senza limiti, quello previsto originariamente dal Porcellum e giudicato irragionevolmente distorsivo della volontà popolare. Ma le loro valutazioni valgono doppiamente a smontare l’ipotesi di una camera con potere legislativo non fondata sul mandato popolare. Ben può dirsi che la cooptazione dei sindaci e dei presidenti di regione in luogo delle elezioni distorce al massimo, anzi azzera la volontà popolare. Un altro passaggio dei giudici costituzionali va citato: «Una illimitata compressione della rappresentatività dell’assemblea parlamentare (è) incompatibile con i principi costituzionali in base ai quali le assemblee parlamentari sono sedi esclusive della “rappresentanza politica nazionale”, si fondano sull’espressione del voto e quindi della sovranità popolare (corsivo nostro, ndr), ed in virtù di ciò ad esse sono affidate funzioni fondamentali dotate di una caratterizzazione tipica e infungibile (…) ciò che peraltro distingue il parlamento da altre assemblee rappresentative di enti territoriali».

Renzi non sembra essersi accorto di questa avvertenza costituzionale. Peraltro già messa in luce da alcuni dei costituzionalisti che con il ministro Quagliariello hanno (vanamente) ragionato sulle riforme possibili, l’estate scorsa. Il sindaco di Firenze insiste sul fatto che portare sindaci e governatori a palazzo Madama «senza indennità» farebbe risparmiare allo stato 315 stipendi. L’argomento è questo. Solo questo, ma a tal punto Renzi ne è convinto che ieri ha minacciato di bloccare sul nascere la trattativa nella maggioranza per la nuova legge elettorale di fronte al fatto che il gruppo di Alfano ha presentato una diversa proposta di correzione del bicameralismo. Una proposta, bisogna dire, più costituzionalmente fondata di quella vagheggiata da Renzi. E che prevede un’identica riduzione dei parlamentari: meno 210 deputati e 105 senatori in luogo della cancellazione dei famosi 315 «stipendi». Disponibile alla competizione su questo terreno, Quagliariello ha così presentato il progetto: «Fa risparmiare più di quello di Renzi». Prevede invece che i senatori vengano eletti contestualmente e con un voto collegato all’elezione del Consiglio regionale: dunque l’organo, un po’ come il senato americano, cambierebbe composizione in maniera continua. Gli eletti potrebbero però ben conservare la competenza oltre che sulle leggi costituzionali sulle leggi ordinarie «inerenti i principi fondamentali e i diritti civili e sociali indicati nella prima parte della Costituzione che non coinvolgono il rapporto fiduciario tra governo e parlamento». Al senato, secondo la proposta del Nuovo centrodestra, sarebbe poi affidata una funzione di filtro per ridurre i ricorsi delle regioni alla Consulta.

Ma questa proposta, secondo Renzi, è un «inaccettabile dietrofront», un possibile casus belli che autorizza il segretario a rompere del tutto con Alfano e chiudere l’accordo sulla nuova legge elettorale fuori dalla maggioranza e con Berlusconi – i colloqui vanno avanti più nella direzione di un Mattarellum molto corretto che del sistema spagnolo. «Solo con un senato non elettivo e senza l’indennità si supera il bicameralismo e si recupera la fiducia dei cittadini», ha detto il segretario Pd incontrando il suo gruppo al senato. Dov’è arrivato dopo aver sbagliato palazzo.