Alle 13 di ieri ora di Washington DC avevano votato 74.066.939 milioni di americani, anche se i seggi apriranno solo martedì prossimo, il 3 novembre.

Sono arrivati 48,5 milioni di voti per posta e, negli stati che hanno già aperto i seggi, hanno votato altri 25 milioni di persone. Questo trend fa pensare che, alla fine, le elezioni del 2020 potrebbero battere il record di affluenza alle urne dell’ultimo secolo, quel 62,8% della popolazione adulta spinta a votare dalla sfida tra Richard Nixon e John Kennedy nel 1960.

Barack Obama, nel 2008, mobilitò molti giovani e molti afroamericani ma la partecipazione al voto non superò il 57,1% della popolazione adulta. Queste storicamente basse percentuali di affluenza non dipendono da una disaffezione dei cittadini americani per l’esercizio del loro diritto ma dal fatto che le oligarchie degli Usa hanno fatto del loro meglio per rendere faticoso, spesso impossibile, l’uso del suffragio. Prima di tutto c’è stata la discriminazione verso gli afroamericani, sostanzialmente esclusi dal voto con vari pretesti fino al 1965 in tutto il Sud del paese.

Poi c’è il fatto che la registrazione nelle liste elettorali non è automatica ma dev’essere richiesta, molto spesso superando ostacoli burocratici di vario genere. In terzo luogo si vota di martedì, che non è un giorno festivo, e molto spesso si formano code infinite ai seggi, sempre in numero insufficiente rispetto ai bisogni. Infine, un consistente numero di detenuti, o anche ex detenuti, perdono i diritti civili per tutta la vita, perfino a seguito di condanne per infrazioni modeste.

L’entusiasmo di quest’anno potrebbe superare molti di questi ostacoli: per esempio in Texas, a ieri, aveva già votato il 90% di chi aveva votato nel 2016 e mancavano ancora sei giorni alla chiusura delle urne. Secondo il professor Michael McDonald, direttore dell’Election Project dell’università della Florida, «i democratici godono di un enorme vantaggio nel voto per corrispondenza» in tutti gli stati dove ci si iscrive alle liste elettorali indicando il partito a cui si è affiliati.

A questo corrisponde però un vantaggio dei repubblicani tra gli elettori che dicono di voler votare di persona il giorno delle elezioni: circa due terzi di loro dicono di sostenere Trump, mentre il 28% sostiene Biden.

In queste ore circola un grande ottimismo tra i democratici americani, infuriati per i quattro anni di dominio repubblicano e per le quotidiane provocazioni di Trump. Una speranza rafforzata dalle analisi del serissimo FiveThirtyEight (un sito di analisi politica basato sui dati statistici) che stima addirittura al 82% le probabilità di vittoria di Biden e al 72% la probabilità che, a gennaio, i democratici controllino non solo la presidenza ma anche il Senato e la Camera, potendo finalmente iniziare a riparare i danni fatti dai repubblicani al potere. A Washington ci si comincia a chiedere «What Would Democrats Do If They Controlled Congress And The White House?». Naturalmente, le cose non sono così semplici.

Per esempio, la massiccia affluenza al voto in stati tradizionalmente repubblicani come il Texas e, in misura minore, la Florida significa che anche i sostenitori di Trump stanno andando alle urne in gran numero, spinti dalla volontà di confermare un presidente che è riuscito a portare alla Corte Suprema ben tre giudici conservatori, l’ultima dei quali, Amy Coney Barrett, è entrata in carica lunedì scorso.

Per loro si tratta di un risultato politico più importante di qualsiasi stravaganza Trump abbia fatto fino ad ora. È quindi probabile che, finiti i conteggi, la maggioranza di Biden non sia schiacciante come appare oggi.

Questa situazione cela però un pericolo molto reale: se i primi risultati che affluiranno nella notte fra il 3 e il 4 novembre sembreranno favorevoli a Trump, questi non esiterà ad autoproclamarsi vincitore e a ingaggiare mille battaglie legali per limitare o annullare i voti non ancora scrutinati, in particolare quelli per posta.

Ha già dichiarato cento volte che il voto per posta è fonte di brogli (cosa assolutamente falsa) ma è quasi sicuro che userà i tribunali per cercare di strappare un risultato a lui favorevole, come avvenne nel 2000, quando la Corte Suprema scippò la vittoria al democratico Al Gore mettendo fine ai riconteggi in Florida.