Per evitare il nuovo regime fiscale di Renzi, prima dell’approvazione della riforma sui minimi nel mese di novembre 2014 sono state aperte 38.351 partite iva in Italia. L’aumento è clamoroso, come attestano i dati dell’osservatorio sulle partite Iva pubblicate dal ministero dell’Economia. Rispetto al mese corrispondente dello scorso anno è stato registrato un incremento di adesioni al regime fiscale di vantaggio precedente del 15,5%, pari a 11.917 persone in più (+84%). Un’anomalia clamorosa che si spiega con la necessità di chi può tra questi nuovi lavoratori indipendenti di aggirarer la trappola fiscale preparata dal governo 2.0 di Renzi ai danni dei freelance che lavorano, tra l’altro, nell’economia digitale.

La legge di stabilità ha infatti cambiato il regime agevolato per le «giovani» e «piccole» partite Iva under 35. Quello in vigore fino al 2014 limitava l’imposta dovuta al 5% degli utili dichiarati. Per chi superava i 35 anni c’era la possibilità di mantenere il regime forfettario per altri cinque. Il nuovo regime può essere mantenuto senza limiti di tempo ma fissa l’aliquota al 15% del reddito determinato in maniera forfettaria sulla base di una proporzione tra la percentuale dei ricavi e quella dei compensi che varia in base all’attività della partita Iva. La riforma Renzi ha cambiato i requisiti: c’è un tetto massimo di 30 mila euro per il regime di vantaggio, tra 15 mila e 40 mila per il regime forfettario in base all’attività esercitata.

Su questa base è stata creata una distinzione tra i freelance, e chi lavora nelle professioni meno remunerate, delle attività professionali, di cura, della consulenza o della conoscenza e gli autonomi più tradizionali come artigiani e commercianti. In più, per alleviare la condizione di artigiani e commercianti il governo ha stanziato gran parte dei 900 milioni di euro per il lavoro autonomo. Alla parte del lavoro autonomo meno riconoscibile agli occhi del sistema fiscale e previdenziale sono andati pochi spiccioli.

A questa discriminazione tra categorie del lavoro autonomo si è aggiunto l’aumento di due punti dell’aliquota della gestione separata dell’Inps, dal 27,72% al 29,72% come prestabilito dalla riforma Fornero delle pensioni. Una volta detratto quel 29,72%, il freelance dovrà poi pagare l’Irpef e le addizionali comunali e regionali, pari almeno al 26% della parte rimanente del reddito. Questa situazione riguarda una quota ristretta di autonomi iscritti alla gestione Inps, ma trova numerose assonanze con coloro che sono iscritti agli ordini professionali. Tutti tartassati dal fisco, dai contributi e, in quest’ultimo caso, dalle quote di iscrizione agli ordini.

Questo vale tanto per gli avvocati, quanto per gli architetti, senza dimenticare i giornalisti. Questa situazione ha un evidente riscontro nei numeri dell’osservatorio sulle partite Iva: l’84,5% dell’incremento registrato nell’ultimo anno e a un mese dall’entrata in vigore del nuovo regime fiscale è stato registrato nelle attività professionali. Segue la percentuale impressionante delle attività sanitarie (78,4%) e l’altrettanto importante settore dell’informazione (+39%). Questi sono i settori dove, non a caso, incide maggiormente la riforma di Renzi. Per quanto riguarda invece i settori tradizionali del lavoro autonomo si registra un calo: -6,9% nell’agricoltura, -5,4% nei trasporti, -1,9% nelle costruzioni. Il commercio continua a registrare avviamenti pari al 24,8% a novembre. Per sfuggire alla tenaglia di Renzi hanno aperto la partita Iva il 52,8% dei «giovani» fino a 35 anni e il 32% tra i 36 e i 50 anni.

Si resta sospesi agli interventi di riforma della riforma promessi da Renzi e dalla sua maggioranza.