Tutto come all’inizio, all’inizio della legislatura. Camera e senato, riuniti in seduta comune e a voto segreto, sono capaci di smentire ogni previsione e tradire ogni patto. Allora fu per l’elezione del presidente della Repubblica, adesso per la scelta di due giudici costituzionali. Per tre volte, due mercoledì e una ieri, va in scena il festival del franco tiratore. L’accordo, che si presentava saldissimo, tra maggioranza e opposizione di destra, tra Pd e Forza Italia, tra Renzi e Berlusconi, per mandare alla Consulta Luciano Violante e Antonio Catricalà finisce pugnalato alle spalle. Con una tale costanza che si sospetta il dolo, e cioè che l’accordo vero preveda il sacrificio del saggio riverito al Quirinale e del grand commis prediletto da Letta (Gianni). Ma l’ennesimo nulla di fatto (il decimo) si spiega anche con l’ingovernabilità delle truppe berlusconiane, il riflesso del renzismo ortodosso e la fatica del patto del Nazareno che è vivo e vegeto, ma non potendo venire alla luce come patto di governo si espone a tutti i rischi del buio.

E così il rinvio delle votazioni a lunedì prossimo – una pausa di quattro giorni goffamente motivata con «ragioni di assoluta urgenza» (Grasso e Boldrini) – è ufficialmente una mossa difensiva per i due candidati che restano in campo, che altrimenti sarebbero finiti travolti da una quarta consecutiva bocciatura. Ma in realtà apre spazi e tempi utili a mettere in campo un’altra strategia, sia essa nuova o premeditata. I nomi alternativi sono del resto già a bordo campo da giorni, il previtiano Donato Bruno, assai più gradito ai gruppi forzisti di Catricalà, e il costituzionalista Augusto Barbera, già «saggio» per il governo Letta poi grande sostenitore della riforma costituzionale firmata Renzi-Boschi. In condizioni del genere, Luciano Violante – eterno candidato – nel 2005 fece un plateale passo indietro, ritirando la sua candidatura. Potrebbe ripeterlo, ma solo se dovesse accorgersi di essere stato sacrificato. All’inizio di questo lungo fine settimana non siamo ancora a questo punto.

Al presidente della Repubblica sarebbe risultata gradita assai una rapida conclusione su Violante e Catricalà. Ma la risposta di deputati e senatori ai suoi ripetuti appelli a fare presto è stata un’altra lentissima giornata di votazioni alla quale ha fatto seguito un’interminabile spoglio e poi la certificazione del nulla di fatto. Salvo che per il Csm, per il quale era richiesto un quorum più basso che il deputato del Nuovo centrodestra Antonio Leone ha superato di slancio, anche perché libererà il posto per un onorevole fedele a Raffaele Fitto e che dunque sceglierà il gruppo forzista. L’avvocato Leone (che si aggiunge ai due candidati al Csm del Pd già eletti mercoledì, il sottosegretario Legnini e il sindaco di Arezzo Fanfani) ha una storia di roccioso berlusconiano, convinto teorico del complotto dei giudici e sostenitore di tutte le scorribande del Cavaliere in materia di giustizia – è divenuto però accettabile al Pd da quando è traslocato nel gruppo di Alfano. Non ce l’ha fatta invece, per soli dieci voti, la professoressa Teresa Bene, indicata per l’organo di autogoverno dei giudici direttamente dal ministro della giustizia, e finita vittima di antipatie interne al Pd. Stessa sorte è toccata all’ex ministro di Scelta civica Renato Balduzzi e, nel campo berlusconiano, alla senatrice Elisabetta Alberti Casellati e all’ex sottosegretario Luigi Vitali. Ugualmente bocciato Nicola Colaianni, seconda scelta del Movimento 5 stelle, che resta in vantaggio rispetto ad Alberto Zaccaria che pure era risultato primo nel voto grillino online (Colaianni stato senatore Pds nei primi anni Novanta ed è più gradito al Pd).

Anche per il Consiglio superiore della magistratura ci sarà lunedì un nuovo tentativo, ma in questo caso la soluzione pare più a portata di mano. Da Forza Italia non sono attesi passi indietro, che invece per quanto riguarda la Consulta non si possono escludere. Berlusconi viene ufficialmente raccontato come irremovibile su Catricalà, anzi assai arrabbiato con i suoi poco disciplinati parlamentari, eppure il suo consigliere Giovanni Toti dichiara senza girarci troppo attorno che bisogna «prendere atto del disagio espresso chiaramente da tutti i gruppi parlamentari». Sulla carta l’alleanza per Violante e Catricalà potrebbe disporre di circa 700 voti, quando ne sono sufficienti 570. Ma Violante ieri pomeriggio si è fermato a 468, crescendo poco rispetto a mercoledì sera (429), mentre Catricalà è rimasto cento voti sotto (368) e Bruno ha raccolto comunque 120 voti segreti.