Nonostante la crisi – sociale, politica, economica, culturale – che pervade il tessuto italiano da ormai troppi anni, l’Italia continua a esprimere significative eccellenze nel campo della ricerca e degli studi umanistici. È il caso, per esempio, dei diritti umani, un terreno di ricerca nel quale i contributi offerti da studiosi italiani quali Marcello Flores, Daniele Archibugi e Antonio Cassese risultano tra i più importanti a livello internazionale. Il recente volume di Vincenzo Ferrone (Storia dei diritti dell’uomo, Laterza, pp. 534, euro 45) conferma l’eccellenza di questa tradizione italiana di studi trasportando l’indagine sui diritti umani sul terreno eminentemente storico, cioè nell’epoca in cui per la prima volta emerge, tra Seicento e Settecento, la questione di un’etica razionale e cosmopolitica dei diritti dell’individuo, capace di dare forma a un «umanesimo dei moderni», cioè a un nuovo linguaggio politico riformista ed eversivo rispetto al plurisecolare Antico Regime dei privilegi, delle gerarchie e delle disuguaglianze.
A livello politico il problema della tutela dei diritti umani si impone all’agenda pubblica internazionale solo con la fine della Seconda guerra mondiale. Dopo la Shoah, la Convenzione istituita dalle Nazioni Unite giunge nel 1948 alla definizione della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo che costituisce la pietra miliare tutt’oggi vigente con la quale difendere la dignità umana. Ma, naturalmente, i problemi relativi alla tutela dei diritti umani non si sono esauriti con l’approvazione della Dichiarazione, come dimostrano i numerosi casi di genocidio e di violenza degli ultimi decenni, dalla ex-Jugoslavia al Ruanda, dall’Iraq alla Palestina, dal Congo al Sudan: la Dichiarazione è infatti un’enunciazione di principi, non un insieme di leggi, e non contiene norme applicabili nei singoli Stati.

Il cuore del problema

Attualmente esistono due aspetti distinti nelle politiche dei diritti umani: da un lato, la discussione sui fondamenti e sui principi in grado di legittimare teoricamente l’universalità di quei diritti; dall’altro lato, la ricerca di istituzioni e di meccanismi di garanzia, a livello internazionale, in grado di ottenere risultati concreti in merito alla tutela dei diritti umani. Su questo secondo punto il cuore del problema è costituito dall’analisi dei meccanismi e delle istituzioni di tutela giuridica dei diritti. Grazie alla progressiva estensione dei trattati internazionali a tutela della dignità umana si sono ultimamente affermate importanti norme consuetudinarie contro la schiavitù, la discriminazione razziale, la degradazione umana: la stessa cosa non è però accaduta per le procedure giuridiche vincolanti a tutela dei diritti umani, così che molto rimane ancora da fare, soprattutto sul piano delle garanzie giuridiche che tuttora sono ostacolate dalla resistenza degli Stati e rese farraginose dalla pluralità delle istituzioni incaricate dei controlli (tribunali penali internazionali, organizzazioni militari intergovernative o sovranazionali, agenzie umanitarie ecc.).
Vista la sua prospettiva storica, il volume di Ferrone non intende contribuire all’analisi di questo secondo aspetto relativo alle politiche dei diritti umani, ma fornisce importanti elementi di riflessione per il primo punto citato in precedenza, quello relativo alla questione dell’universalità dei diritti, rintracciandone con attenzione le origini storiche, politiche e concettuali nel XVIII secolo. Il problema è facilmente individuabile: dato che i diritti umani sono il prodotto filosofico e politico di una particolare tradizione culturale, quella dell’Occidente, possono essere considerati universali?
In genere, a questa domanda, i difensori dei diritti umani forniscono oggi una risposta pragmatica: proprio perché è difficile fondare e giustificare in termini filosofici l’universalità dei diritti umani, la validità della teoria può essere affermata soprattutto in termini storico-politici, cioè sulla base della sua utilità pragmatica per la vita degli individui. Questo universalismo è conciliabile con il pluralismo morale e culturale, tanto da evitare che i diritti umani si trasformino in una forma di imperialismo: i diritti umani riguardano infatti ciò che è giusto, non ciò che è bene, e sono universali non perché intendono definire un contenuto di cultura, ma perché sono necessari per proteggere gli individui dagli abusi, dalla violenza e dalle interferenze illegittime.

La nuova morale

È facile comprendere che questo tema filosofico – centrale per la difesa dei diritti umani – appartiene al nostro presente, ma è doveroso sottolineare che esso trova il proprio fondamento nei dibattiti seicenteschi e settecenteschi sui «selvaggi» e sugli «altri», per giungere a una chiara concettualizzazione nel dibattito illuministico in Europa sui diritti dell’uomo che, per definirsi tali, devono essere inalienabili, uguali per tutti e imperscrittibili di fronte ai poteri politici e religiosi. L’idea di diritti fondamentali, che appartengono fin dalla nascita all’essere umano in quanto tale, è nata infatti nel solco della tradizione dei diritti naturali moderni (Hobbes e Locke) e si è sviluppata soprattutto con l’illuminismo, in particolare con il riconoscimento dell’unitarietà del genere umano – al netto delle differenze tra le culture, dotate tutte di piena dignità – e con l’appassionata lotta a favore dei diritti dell’uomo che ha caratterizzato il pensiero di Diderot, Voltaire, Rousseau, Condorcet, Genovesi, Filangieri, Beccaria e altri ancora.La ricerca di Ferrone mira proprio a indagare la nascita policentrica e lo sviluppo plurale di questa straordinaria sensibilità filosofica nei confronti delle ragioni e delle passioni dell’individuo, che è stata portata a compimento dagli illuministi per aprire una strada a favore dell’emancipazione civile e politica.
La creazione di una nuova morale razionale e universale basata sui diritti, con l’educazione all’idea universale di umanità, diventa infatti il vero obiettivo degli illuministi: in questa direzione sono deisti come Voltaire e Filangieri, fautori di una religione naturale comune a tutti i popoli e senza Chiese, a creare i presupposti per la concezione universalistica e cosmopolitica dei diritti, fino a giungere alla religione civile dei diritti dell’uomo propugnata da Rousseau, i cui principi filosofici e politici vengono condensati nella Dichiarazione del 1789.
Come è noto, dopo la Rivoluzione francese la storia dei diritti dell’uomo non prosegue in modo lineare: le vicende europee dell’Ottocento e del Novecento mostrano la brusca interruzione del progetto illuministico di difendere i diritti dell’uomo ed emancipare l’individuo rispetto alle autorità costituite. Le questioni poste dall’illuminismo rimangono però vive fino a oggi ed è solo attraverso la ricostruzione della genealogia storica del linguaggio settecentesco dei diritti che è possibile comprendere le difficoltà che ancora oggi incontra l’accettazione della concezione universalistica e cosmopolitica dei diritti umani.