Quando incontra i parenti delle vittime del crollo del Ponte appena rinato, in prefettura, Mattarella usa toni duri: «Le responsabilità hanno sempre un nome e un cognome. È importante che vi sia un’azione severa, precisa rigorosa». Ma quando affronta la spina che tormenta gli interlocutori non può far altro che confessare la propria impotenza, e certo non gli fa piacere: «Comprendo bene che la concessione sia un argomento sensibile per voi. Lo è per tutti. Ma non è competenza mia definirlo. Spetta al governo e al Parlamento».

OGGI IL PONTE verrà riaperto e la gestione tornerà ad Autostrade per l’Italia, controllata attraverso Atlantia dai Benetton. Il sindaco Bucci, dopo aver firmato il protocollo d’intesa in base al quale alle 18 di oggi il Ponte sarà ufficialmente affidato al ministero dei Trasporti che ne affiderà automaticamente la gestione ad Aspi, declina a sua volta ogni responsabilità: «Io faccio il mio lavoro, il sindaco e il commissario. Non sono io a decidere a chi dare le concessioni».

La concessione ad Aspi è provvisoria, giusto il tempo di definire gli accordi per tradurre in pratica le decisioni del 14 luglio scorso. Solo che quanto si prolungherà la fase provvisoria oggi nessuno può dirlo. L’incontro di domani, ha già annunciato la ministra De Micheli, sarà solo interlocutorio e non si arriverà a firmare il memorandum che sancirà l’ingresso dei nuovi azionisti attraverso la Cassa depositi e prestiti. «Credo che l’impianto che stiamo definendo, con una difficoltà giuridica importante, vada nella direzione richiesta dalle famiglie delle vittime», dice la ministra. Sui tempi della definizione, però, non si pronuncia.

IL BRACCIO DI FERRO sembra essere sul valore delle azioni, che non solo Aspi ma anche i soci di minoranza, come i tedeschi di Allianz o i cinesi di Silk Road, tirano ad alzare quanto più possibile mentre i compratori della Cdp remano in direzione opposta. Il valore complessivo dovrebbe aggirarsi sui 10 mld. I soci di minoranza ne hanno sborsati a suo tempo 15, ma hanno abbassato il prezzo a 12,5 mld dopo il crollo del Ponte. Cdp valuta l’azienda sui 9 mld e propongono quindi un saldo di 3 mld per subentrare ad Atlantia nel 30% di Aspi.

È su questo punto che la trattativa si è arenata. Ieri sarebbero dovute arrivare le contro osservazioni di Aspi, dopo che il governo aveva respinto il 31 luglio il Piano economico e finanziario inviato dall’azienda il 23 spiegando che alcuni elementi non corrispondevano «alle condizioni precedentemente definite». Se ne riparlerà invece domani.

SULLA CARTA, il governo può giocare la carta decisiva della revoca, minaccia che aveva spinto i Benetton ad accettare il passo indietro. È un’arma rischiosa però e chi conduce le trattative per conto di Atlantia lo sa perfettamente. Pesa infatti quel parere dell’Avvocatura dello Stato secondo cui il risarcimento dovuto dallo Stato sarebbe probabilmente di 22 e non solo di 7 mld, grazie all’abbassamento fissato con il dl Milleproroghe.

Ma non c’è solo questo. Non è un caso che i Fondi di investimento con quote in Aspi stiano strepitando e denunciando «l’esproprio». Una conclusione traumatica della vicenda avrebbe conseguenze molto pesanti e forse disastrose per gli azionisti esteri e si tratta di un problema enorme. Tanto più alla vigilia del Piano di rilancio basato sul Recovery Fund europeo, quando la disponibilità degli investitori esteri sarà questione di vita o di morte.

DUNQUE AL GOVERNO non resta altro che sedersi di nuovo al tavolo di una estenuante trattativa, subendo il colpo duro del Ponte riaperto con la gestione Aspi e quello, altrettanto duro, di dover rinviare la definizione dell’unico tra i tanti dossier aperti che pareva essere a un passo dalla chiusura.