Sala verde riaperta di buon mattino, ma con una spada di Damocle sopra grande quanto una casa. Con il governo che ieri sera ha posto la fiducia sul Jobs Act, bisognerà capire quanto sia realmente significativo il tavolo che verrà (ri)apparecchiato questa mattina per i sindacati e le imprese. E dire che l’importanza simbolica, almeno sulla carta e fino al pomeriggio, era grossa: il primo atto di concertazione, o comunque di dialogo con le parti sociali, di Matteo Renzi. Ma poi l’”evento” è stato travolto da un avvenimento ancor più grosso, che rischia di schiacciarlo del tutto: la scelta di mettere la fiducia sull’articolo 18.

Il calendario è serratissimo: alle 8 Renzi, affiancato dal ministro del Lavoro Giuliano Poletti e molto probabilmente anche dal titolare dell’Economia, Pier Carlo Padoan, incontrerà i segretari di Cgil, Cisl, Uil e Ugl. Subito dopo, alle 9, toccherà a Confindustria, Rete Imprese Italia e Alleanza delle cooperative. Alle 10 entreranno i sindacati di polizia, dopo le proteste delle scorse settimane. Escluse – e ieri hanno protestato inviando una lettera direttamente al premier – le partite Iva di Acta.

Sul tavolo c’è il tema generico delle «riforme», e Renzi la settimana scorsa aveva fatto sapere che non si sarebbe parlato di articolo 18, ma soltanto di tre punti: rappresentanza, contrattazione aziendale e salario minimo. Ma ovvio che dopo la questione di fiducia posta ieri, il “nodo dei nodi”, quello che riguarda appunto i licenziamenti, non potrà non essere toccato.

La Cgil, che su diversi argomenti è in disaccordo – dall’articolo 18 a un eccessivo sbilanciamento verso i contratti aziendali – ha già messo in conto la possibilità che il veloce faccia a faccia non sortisca risultati. Susanna Camusso, ieri al vertice Ue dei sindacati, dove è stata siglata con la Ces la Dichiarazione di Roma, è stata tranchant: «Mi viene in mente una canzone: un’ora sola ti vorrei». «Il sindacato è sempre pronto al confronto ma anche al conflitto per contrastare scelte politiche non condivisibili», ha quindi aggiunto.

Insomma, la Cgil «conferma e rafforza la manifestazione del 25 ottobre», dice Camusso, perché «non basta un incontro per dire che le politiche del governo vanno bene». Subito dopo, l’insistenza su un paragone già molto contestato: «Siamo a metà del semestre europeo a guida italiana e non c’è stato ancora accenno di dialogo sociale da parte del presidente del consiglio. Questa modalità si era vista in Europa una sola volta, con madame Thatcher».

Insomma, il dialogo con la Cgil per ora non c’è e oggi è probabile che non si sviluppi, visto che è stata posta la fiducia su temi fin troppo delicati. Un netto no Camusso lo mette anche sul “modello Fiat” proposto da Renzi per la contrattazione aziendale e le regole sulla rappresentanza : «Preoccupa che il governo voglia restringere i confini dell’azione dei sindacati alla sola contrattazione aziendale: se fosse così lo interpreteremmo come un esplicito attacco alla contrattazione tra le parti e all’autonomia del sindacato», spiega.

Sul piede di guerra anche Maurizio Landini, segretario generale della Fiom, che è attivo su più fronti di opposizione: non solo quella più strettamente sindacale, ma da sabato scorso in un fronte di alleanze più largo per i diritti del lavoro, che unisce insieme soggetti come Sel, parte della sinistra Pd, e movimenti della società civile. «Renzi ha scelto il conflitto e lo scontro – dice – Il governo deve sapere che noi siamo pronti a occupare le fabbriche se dovesse passare la linea della riduzione dell’occupazione, dei diritti e dei salari. Una linea che potrebbe trovare una prima applicazione alla Thyssen di Terni. Sarebbe inaccettabile».

Certo sul piatto di Renzi però c’è anche l’offerta del Tfr in busta paga, che potrebbe essere resa più attraente da un regime fiscale favorevole e dall’idea di accorparlo tutto in un doppio stipendio a febbraio. Renzi vuole tentare il tutto per tutto, perché domani si apre il consiglio Ue sul lavoro di Milano – e lì si parlerà anche di flessibilità per Francia e Italia – poi c’è il vertice Fmi e entro il 15 ottobre bisognerà fissare le linee guida della legge di Stabilità e presentarle alla Ue. Non si può permettere di sbagliare: e se Cisl e Uil per ora sembrano contrarie a modifiche troppo pesanti sull’articolo 18, unendosi piuttosto alla Cgil per chiedere una «detassazione dei salari», rompere questo fragile fronte per il premier non sembra poi così difficile.