La sospensione dei requisiti previsti dal «patto di stabilità e crescita», adottata poche settimane dopo l’esplosione della pandemia in tutta Europa nel 2020, dovrebbe continuare nel 2022 e terminare nel 2023. Nel caso in cui uno dei paesi membri non avrà recuperato il tasso di crescita del 2019, precedente alla pandemia, la Commissione Europea tornerà ad applicare il «patto» con la consueta flessibilità politica. Un chiaro messaggio a Italia e Spagna. La prima sembra essere destinata a recuperare una crescita proprio nel 2023. Se sarà come quella del 2019 sarà comunque modesta.

Ieri a Bruxelles il vicepresidente della Commissione Valdis Dombrovskis e il commissario all’Economia Paolo Gentiloni hanno presentato una comunicazione in cui si delineano i criteri per la disattivazione della clausola di sospensione del patto. Hanno ricordato che nel corso di quest’anno – nel quadro del semestre europeo e con il Consiglio (Eurogruppo ed Ecofin), – inizieranno le consultazioni sulle eventuali modifiche da apportare alla politica economica che orienta le decisioni nazionali dei governi. Una partita dall’esito non prevedibile e, con ogni probabilità, nemmeno univoca negli esiti, come si conviene alle labiritinche liturgie brussellesi. Nell’ultimo anno, anche ai vertici, si è parlato di correzioni a partire dagli aspetti prociclici del patto che dovrebbero enfatizzare le fasi espansive ma che in realtà aggravano quelle recessive.

La trattativa sarà dura. Prudentemente, Dombrovskis e Gentiloni hanno specificato che una decisione decisiva sulla sospensione del patto fino al 2023 sarà presa in occasione della pubblicazione delle previsioni economiche di primavera che la Commissione Ue renderà pubbliche all’inizio del prossimo maggio. «L’idea che la fase del sostegno si sia ormai esaurita e che sia ora di tornare a politiche restrittive – ha detto Gentiloni – sarebbe sbagliata e pericolosa. Ed è direi un consenso internazionale, dagli Usa, all’Europa, all’Asia, che siamo ancora in una fase in cui le nostre economie vanno sostenute».

Se questa è la prospettiva, in realtà un messaggio inviato ai governi e alle loro opinioni pubbliche, la comunicazione ribadisce alcune linee di ragionamento per la politica che sarà fatta ad esempio in Italia a partire dai prossimi mesi e comunque nei prossimi anni. Innanzitutto l’uso della spesa pubblica in deficit: continuerà fino a quando sarà necessaria, e l’uscita dovrà essere «soft». «L’idea che la fase del sostegno si sia ormai esaurita e che sia ora di tornare a politiche restrittive – ha detto Gentiloni – sarebbe sbagliata e pericolosa. Ed è direi un consenso internazionale, dagli Usa, all’Europa, all’Asia, che siamo ancora in una fase in cui le nostre economie vanno sostenute».

Altra indicazione per il dibattito italiano sull’estensione della cassa integrazione (finanziata anche dal programma «Sure») e al blocco dei licenziamenti che potrebbe essere prolungato al 30 giugno è quanto la Commissione Ue è la seguente: «Aumentare gli incentivi all’occupazione per i lavoratori. Le politiche dovrebbero passare dalla protezione delle relazioni esistenti tra dipendenti e imprese all’aumento delle opportunità di lavoro per i disoccupati e gli inattivi e il sostegno alle transizioni dalla disoccupazione indotta dalla crisi o dai programmi di lavoro a tempo ridotto verso altre opportunità di lavoro in settori che hanno futuro». Il quadro è quello delle politiche attive del lavoro, finanziate anche dal «Recovery fund», la teoria è quella dei mercati di lavoro «transizionali», la prospettiva è la politica della domanda a sostegno delle imprese. Riforme sociali e del Welfare non sembrano essere tra le priorità.