La Commissione europea spalanca le porte ai nuovi Ogm. E’ quello che emerge dallo studio presentato con toni trionfalistici il 29 aprile e che va nella direzione delle richieste avanzate in dai gruppi dell’agroindustria. Lo studio sulle nuove tecniche genomiche (Ngt), impiegate per modificare il genoma di un organismo, vuole mettere le basi per una nuova normativa che liberalizzi la coltivazione e la commercializzazione di organismi vegetali ottenuti con queste tecniche.

SECONDO LA COMMISSIONE la legislazione sugli Ogm è «obsoleta» e inadatta ai recenti sviluppi tecnologici e va aggiornata. Il dibattito sulle Ngt o Nbt (New breeding techniques) va avanti da alcuni anni. Il fallimento in termini ambientali, sociali e di salute pubblica del modello agricolo basato sulle colture transgeniche, ha spinto i settori agroindustriali a cercare nuove tecniche per intervenire sul patrimonio genetico. Si vuole creare una nuova generazione di piante geneticamente modificate da utilizzare in sostituzione dei vecchi Ogm che non sono mai stati accettati dalla maggior parte dei produttori agricoli, consumatori, ambientalisti.

ATTUALMENTE TRE MULTINAZIONALI (Monsanto-Bayer, Singenta-ChemCina, Dupont-Dow Chemical) controllano il 70% del mercato mondiale dei semi. La creazione delle nuove varietà aumenterebbe la loro capacità di controllo sul settore agricolo. Le Ngt comprendono tutte le tecniche in grado di apportare modifiche al genoma (l’insieme completo di istruzioni genetiche di un organismo). Si opera inserendo o rimuovendo tratti del Dna per ottenere nuove varietà vegetali. Sono due le tecniche più impiegate: la cisgenesi o intragenesi e il genoma editing. Nel primo caso i cambiamenti si producono riorganizzando il materiale genetico dello stesso organismo, oppure trasferendo una specifica porzione di Dna da un organismo all’altro appartenenti alla stessa specie o specie simili.

NEL SECONDO CASO si può modificare il patrimonio genetico di una pianta o di un organismo animale inserendo, eliminando o sostituendo una o più sequenze di Dna per ottenere un determinato carattere, senza inserire patrimonio genetico di altri organismi. Siamo di fronte a una nuova risorsa per l’agricoltura o a una nuova minaccia? A questo interrogativo aveva risposto nel luglio del 2018 la Corte di giustizia europea che aveva stabilito che i prodotti delle Ngt rientrano nella Direttiva 18/2001 che regolamenta gli Ogm. Secondo la Corte di giustizia, pur non trattandosi di organismi transgenici (come i vecchi Ogm), si è in presenza di varietà che hanno subito una alterazione del patrimonio genetico e vanno assimilati agli Ogm per quanto riguarda la normativa.

NELLA SENTENZA DELLA CORTE era prevalsa la tesi che le tecniche impiegate provocano alterazioni genetiche che possono influire sulla sicurezza dei prodotti, sia per quanto riguarda la salute umana che per l’ambiente. Il principio di precauzione veniva salvaguardato. Da quel momento si è scatenato un attacco concentrico contro la sentenza, guidato dai settori dell’agrobusiness che mirano al controllo delle filiere agroalimentari attraverso la produzione e commercializzazione delle varietà geneticamente modificate. La Commissione europea ora asseconda questi interessi, nella prospettiva di equiparare i prodotti delle Ngt alle coltivazioni tradizionali.

NELLO STUDIO SI ESALTANO LE NGT, attribuendo ad esse la capacità di contribuire alla «sostenibilità dei sistemi alimentari, con piante più resistenti alle malattie, alle condizioni ambientali e agli effetti dei cambiamenti climatici». Inoltre, questi prodotti sarebbero dotati di «qualità nutrizionali più elevate e di una minore necessità di fattori della produzione agricola come i pesticidi». Non manca la celebrazione delle Ngt rispetto ai «vantaggi che possono apportare a molti settori della nostra società, contribuendo agli obiettivi dell’Ue in materia di innovazione e sostenibilità dei sistemi alimentari, nonché ad una economia più competitiva».

SONO LE STESSE ARGOMENTAZIONI usate all’inizio degli anni ’90 per promuovere i vecchi Ogm. La consultazione da parte della Commissione europea è avvenuta per mezzo di un questionario che è stato sottoposto ai cosiddetti «portatori di interessi», tra cui alcuni produttori biologici, comitati di consumatori, associazioni ambientaliste come Slow Food e Greenpeace. In una parte della relazione si accenna alle posizioni contrarie che sono state espresse e che vengono così riportate: «Alcune opinioni sostengono che i benefici proposti dalle Ngt in agricoltura sono ipotetici e potrebbero essere raggiunti anche con mezzi diversi dalla biotecnologia. Varie risposte hanno sollevato preoccupazioni relative al possibile impatto ambientale e di sicurezza dei prodotti Ngt. Sono state sollevate preoccupazioni in merito alla coesistenza di diversi tipi di produzione agricola. Le imprese biologiche hanno segnalato potenziali minacce alla loro attività, comprese le difficoltà nella tracciabilità e nell’etichettatura e, di conseguenza, nel mantenere la fiducia nei consumatori, mentre uno degli obiettivi della strategia Green Deal e Dalla fattoria alla tavola è aumentare l’agricoltura biologica nella Ue. Sono state sollevate anche questioni relative al diritto dei consumatori all’informazione e alla libertà di scelta».

SI TRATTA DI UNA GENTILE CONCESSIONE alle obiezioni sollevate, perché le conclusioni dello studio vanno nella direzione opposta. Preoccupazioni di cui non si fa carico la Commissaria per la salute e la sicurezza alimentare, Stella Kyriakides, che nel presentare la relazione afferma: «Le nuove tecniche genomiche possono promuovere la sostenibilità della produzione agricola, mantenendo come principio guida la sicurezza dei consumatori e dell’ambiente».

COSA SUCCEDERA’ ORA? Il Consiglio e il Parlamento europeo dovranno discuterne i risultati, mentre nei prossimi mesi è prevista una valutazione d’impatto, compresa una consultazione pubblica per esplorare le opzioni politiche riguardanti la nuova regolamentazione da adottare. Sono numerose le associazioni che hanno preso posizione e che chiedono alla Commissione europea di rispettare il «principio di precauzione».

AIAB, ACU, ALTRAGRICOLTURA BIO, Apab, Ari, Civiltà contadina, Coord. Zero Ogm, Crocevia, Deafal, Egalitè, European Consumers, Fairwatch, Federbio, Firab, Greenpeace, Isde, Legambiente, Lipu, Navdanya, Pro Natura, Slow Food, Terra!, Unaapi, Wwf sollecitano un dibattito pubblico per bloccare una operazione che mira a rafforzare gli interessi dei gruppi agroindustriali e che nulla ha a che fare con la sicurezza alimentare e la sostenibilità ambientale.