Dodici anni fa, per la prima volta nella storia dell’umanità, la popolazione delle città ha superato su scala globale quella delle campagne, e da allora il processo di inurbamento non ha accennato a rallentare. La previsione è che a metà di questo secolo due persone su tre risiederanno in città. È un dato a cui non solo le scienze umane tutte, ma il pensiero e la cultura sono e saranno sempre più chiamati a confrontarsi. Come non accogliere con favore, allora, l’iniziativa editoriale promossa dalle edizioni Ets di creare una Collana, agile per formato e numero di pagine (circa ottanta), dedicata a una riflessione articolata e regolare sui Ritmi della città?

Visioni e passioni
plurali La convinzione di partenza è che la città, da assumere come «metafora della democrazia», sia il luogo in cui «la vita scorre nella sua reale consistenza» e che dunque è determinante evitare che venga «declinata come freddo, mortifero spazio topologico-catastale», tentando piuttosto di immaginarla come una «prosecuzione della persona» e della sua relazionalità affettiva, economica, sociale, politica.

Il responsabile del progetto, Sarantis Thanopulos, membro della Società Psicoanalitica Italiana, è anche l’autore del primo dei volumi pubblicati: La città e le sue emozioni (Ets, pp. 87, e 10,00) una discussione concisa, di stimolante complessità e aperta all’apporto filosofico, sull’ambiente urbano come «risultato della sedimentazione di visioni e passioni plurali». Proprio perciò, la città è inevitabile «luogo di conflitto», nel quale più che mai sono in causa non solo il tema del diffuso articolarsi del lavoro e dei rapporti di produzione secondo modelli ripetitivi e iniqui, sganciati da ogni possibilità realmente trasformativa del reale e dei soggetti, ma anche l’intricato nodo delle relazioni intergenerazionali. Non solo il potere arcaico degli anziani si perpetua nella vita e nel pensiero stesso dei giovani, facendoli senili, ma il tormento del dominio maschile è fagocitante, apertamente o furtivamente brutale.

La chiave di lettura psicoanalitica torna qui preziosissima per cogliere la città – la polis – e le emozioni che la attraversano individuando l’intreccio strutturale che lega i problemi che vi si agitano. Un intreccio al cui centro Thanopulos pone opportunamente (forse non senza qualche concessione a una teoresi schematizzante) la distinzione tra l’esperienza conservativa, difensiva, generica, prevedibile, adattativa, autocentrata del bisogno, da un lato, e quella inventiva, dinamica, specifica, relazionale, conoscitiva e positivamente destabilizzante del desiderio, dall’altro.
La dissociazione di queste due dimensioni – il venir meno della loro complementarietà – espone al pericolo che la prima prenda il sopravvento sulla seconda, impoverendo la vita e consegnandola a forme pervasive di aridità e di durezza, quando non di violenza.

Alterità dolente o felice
È questa la ragione per cui è essenziale che, nello spazio agonico della città, i suoi abitanti, dando corso alla politicità fondamentale delle loro emozioni, siano capaci di promuovere una soddisfazione effettiva dei bisogni materiali, «così che questi non interferiscano, disturbandolo, con lo sviluppo dei loro desideri». Thanopulos è persuaso che solo quando i bisogni conoscono risposte effettive invece di restare prigionieri di se stessi, al desiderio può davvero aprirsi lo spazio per cercare quella regolazione fine, quella modulazione che la sua stessa spinta destabilizzante, sempre eccessiva, richiede.

Una modulazione che non è possibile ottenere se non percorrendo fino in fondo la via maestra del riconoscimento, di volta in volta dolente e felice, dell’alterità irriducibile dell’altro: nelle relazioni erotiche come nelle esperienze, altrettanto decisive, della partecipazione e dell’amicizia.