La città nuova di Renato Nicolini
A teatro Un laboratorio promosso dalle varie facoltà di Roma Tre, per uno spettacolo che celebra il respiro intellettuale del creatore dell'estate romana
A teatro Un laboratorio promosso dalle varie facoltà di Roma Tre, per uno spettacolo che celebra il respiro intellettuale del creatore dell'estate romana
Lo spettacolo andato in scena al Palladium per sole due sere (affollato e partecipe, quasi a far giustizia sull’uso del teatro, dopo le polemiche e gli strascichi della fuoruscita di Romaeuropa dallo spazio della terza università di Roma), è una boccata d’aria nuova nel comatoso ambito delle scene romane. Non perché sia uno spettacolo di qualità o professionalità straordinarie, ma per i temi che affronta, per la delicatezza e la generosità di chi vi ha preso parte, e per il respiro intellettuale che si porta dal testo, La fondazione della città, e soprattutto dal suo autore, Renato Nicolini che come si sa non è stato solo l’assessore alla cultura della capitale (quasi inventando un ruolo, e un titolo e una chance, che fino ad allora non esistevano, anzi gli assessori si limitavano a organizzare manifestazioni confessionali e inondarle con la stampa di santini devozionali tirati in una infinità di copie), ma è stato un grande intellettuale, progettatore di cultura e di etica, promotore di linguaggi artistici e del loro uso incrociato.
La fondazione della città fu scritto una decina d’anni fa da Nicolini per «ravvivare» le serate di un’assise di architetti e urbanisti all’università di Reggio Calabria, dove lui insegnava. In realtà, grazie alla sua cultura sterminata e alla fantasia (anche propriamente spettacolare) che non gli faceva mai difetto, se la inventò come vera e propria «rivista architettonica» che prevedeva musiche, balletti e intermezzi attingendo a tutte le forme del varietà, senza ovviamente rinunciare ai suoi amori elettivi, dal teatro rinascimentale e barocco a Brecht e Weill a Maiakowskij, e quindi seguendo le discendenze fino a Carmelo Bene e a Leo.
Il filo narrativo dello spettacolo è dato da Alessandro Magno (cui è tributata tutta la ricchezza di idee e sentimenti che la letteratura nei secoli gli ha elargito) davanti alla costruzione della città che porterà il suo nome (Alessandria appunto) e dovrà dare concreto corpo alla sua grandezza. Un ruolo, quello del re macedone, che Nicolini prefigurava per sé (ed ebbe in effetti l’occasione di ricoprirlo), anche perché non era la grandezza, e tanto meno la forza militare ad affascinarlo, ma la profondità del pensiero chiamato a misurarsi col progetto di una comunità, di una cultura nuova e dell’incontro per l’occasione di tante diverse radici etniche.
Lo spettacolo quindi si snoda come una serie di rappresentazioni e racconti di fondazioni e nascite di città. Dalla mitologia alla storia, dalle sacre scritture alle visioni del ‘900: da Babele a Roma, da Atene alla Città del Sole di Tommaso Campanella, da Mahagonny all’Eur, fino alle fila che del discorso ha saputo tessere con razionalità e cuore il grande Aldo Rossi, la cui mano segnava le città e nello stesso tempo vi sospingeva il Teatro del Mondo.
È un excursus, questa reiterata e tormentata e sempre nuova Fondazione, che nello spazio compatto di uno spettacolo cattura lo spettatore (a dibattere e accompagnarsi con Alessandro Magno c’è l’elegante figura della femminile Architettura), mentre sul palcoscenico tutto si muove, anima e cambia. Ci sono infatti le immagini sapientemente scelte ed elaborate da Fabio Iaquone («occhio» informatico di tanti spettacoli di Giorgio Barberio Corsetti) e Luca Attilii, e non meno presenti sono le belle musiche di Pasquale Minieri elaborate dal vivo dalla Roma Tre Jazz Band. Gli attori sono tutti giovanissimi (sono gli studenti della medesima università) ma la prendono molto sul serio: pulizia d’esecuzione, tempi rispettati e sguardo d’insieme non mancano ai molti che popolano quel palcoscenico (e a momenti anche la platea).
Perché tutta questa macchina spettacolare, si sarà capito, è il frutto di un laboratorio che ha raccolto da varie facoltà di Roma Tre allievi, prima solo curiosi, poi affascinati e immedesimati nel racconto che andavano a proporre. E se Ruggero Guarino, decano del Dams, è l’autorità accademica che ha raccolto e promosso l’iniziativa, grande merito va a Marilù Prati, che quel laboratorio ha inventato, proposto e tenuto, con un piccolo finanziamento dell’amministrazione comunale ed entusiasmo e fiducia incontenibili per l’iniziativa, di cui firma la regia.
Nicolini sarebbe stato contento, e avrebbe sorriso sornione. Perché non avviene tutti i giorni che l’esercizio del pensiero, su temi non facili né scontati, possa tradursi in un piccolo e denso musical, didascalico quanto basta, ma affascinante e fantasioso come dovrebbero apparire tutti i grandi temi della convivenza.
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