L’unico paese quasi completamente Covid-free (pochi i nuovi contagiati, tracciati immediatamente da milioni di tamponi, come nel caso della città di Qingdao) sarà anche l’unico paese a crescere, come già previsto dalle stime del Fmi (+1,9% a fronte di una contrazione del 4,4% per l’economia globale). Secondo l’Ufficio nazionale di statistica nel terzo trimestre la Cina è cresciuta del 4,9, più del 3,2 del primo trimestre benché meno del 5,5 previsto da Bloomberg.

A TRAINARE QUESTI NUMERI il consumo interno, agevolato anche dalle spese «patriottiche» e dal turismo in occasione della «golden week» per le celebrazioni della nascita della Repubblica popolare: i turisti interni cinesi hanno generato 45,9 miliardi di entrate, secondo i dati del ministero cinese della cultura e del turismo. Nel dettaglio – come riportato dai media locali – una crescita vistosa registrata a settembre è quella della produzione industriale (+6,9 rispetto al 2019) mentre – secondo i dati ufficiali – sarebbe calata anche la disoccupazione.

Al riguardo il South China Morning Post ha sottolineato che Pechino «ha fissato l’obiettivo di creare 9 milioni di nuovi posti di lavoro urbani nel 2020, rispetto agli 11 milioni dello scorso anno, e di mantenere un tasso di disoccupazione urbano di circa il 6%, rispetto al 5,5% dello scorso anno. Nel 2019, la Cina ha creato 13,52 milioni di nuovi posti di lavoro urbani». In questo calcolo, però, manca un’adeguata rappresentazione «della situazione occupazionale complessiva, perché esclude milioni di lavoratori migranti».

PESA SU TUTTO LO STIMOLO fiscale che il governo ha deciso per controbattere il Covid e, inesorabilmente, la capacità cinese di gestire la pandemia in modo rigido e quella del Pcc di mobilitare la popolazione nonostante i ritardi iniziali.

La Cina ora si concentra, politicamente, sull’appuntamento più rilevante, il Quinto Plenum del Partito comunista dal 26 al 29 ottobre, senza dimenticare le contese aperte. Nei giorni scorsi è stato dato il via libera a una legge (in vigore dal primo dicembre) che permetterà a Pechino di bloccare l’esportazione di materiali strategici e tecnologia avanzata; si tratta di una risposta, ovvia, alle decisioni prese di recente di Trump e che potrebbe addirittura bloccare anche l’affaire Tik Tok, prevedendo all’interno della cornice legislativa anche gli algoritmi.

IL PASSO ERA SCONTATO, Pechino sente di dover difendere il nuovo valore aggiunto della propria produzione tecnologica e non solo. Se infatti il riferimento immediato della legge sono gli Usa, a finire nei guai potrebbero essere molti altri paesi, anche europei, se si pensa a un blocco delle esportazioni cinesi di terre rare, ad esempio. Come riassunto da Agenzia Nova, sotto il concetto di sicurezza nazionale globale, sono finite undici aree: «politica, esercito, economia, cultura, società, scienza e tecnologia, informazione, ecologia, suolo, risorse e nucleare».

I criteri che regoleranno la possibilità che l’esportazione di un prodotto, materiale o algoritmo venga «bloccata»saranno otto. Tra essi sono compresi la sicurezza e gli interessi nazionali, obblighi internazionali e impegni esterni, la sensibilità degli articoli controllati, e anche i paesi o le regioni a cui sono destinati.

Quest’ultimo aspetto concederebbe a Pechino un’ulteriore arma per colpire in modo trasversale, paesi che la Cina ritiene agiscano contro i propri interessi.