Qui dovreste seguirmi con qualche attenzione supplementare, perché la vicenda non è immediatamente comprensibile. A Roma, dopo la ciclabile Nomentana, è stato recentemente aperto un altro cantiere per una corsia protetta dedicata al traffico ciclabile, sulla Tuscolana, un’altra delle consolari che irraggiano la città. Pianificare ciclabili lungo tutte le consolari è nel programma dell’attuale giunta, nessuna sorpresa per nessuno: la cosa era stata messa in chiaro durante la campagna elettorale di Virginia Raggi.

La ciclabile sulla Tuscolana è monodirezionale su entrambe le carreggiate, e collega il primo tratto periferico della grande via (Quadraro, quartiere benemerito nella lotta all’occupazione nazista e chiamato dai tedeschi di allora «il nido delle vespe») a viale Palmiro Togliatti, dove esiste un’altra ciclabile però vecchio stile e francamente poco potabile: ma c’è, ce la teniamo, si prova a costruire una rete anche così. Da quelle parti passerebbe anche il Grab, in un incerto futuro.

Qualche giorno fa spunta un volantino, distribuito in strada da un banchetto improvvisato, che invita la cittadinanza della zona a firmare contro la ciclabile. La raccolta firme è organizzata dalla finora ignota Associazione Enrico Berlinguer. Tra le motivazioni della contrarietà quella che ha colpito tutti è «l’aumento dell’inquinamento» che la ciclabile porterebbe. Tutti pensiamo a uno scherzo, o come si dice oggi un fake; in poco tempo si capisce che no, non è un fake: davvero un’associazione di quartiere intitolata a Berlinguer è riuscita a concentrare su un volantino la summa delle resistenze del popolo automobilistico a un cambio di modalità trasportistiche che rechi traumi alla sacra vettura, fino al culmine ioneschiano della ciclabile che inquina (sintesi non solo mia ma fatta da molti).

Decido quindi di andarci a parlare. Il primo giorno percorro la via un paio di volte alla ricerca del banchetto, che non trovo. Il secondo lo rifaccio ma poi mi rassegno a non poter improvvisare un intervento in pubblico e vado a cercarli in sede. Li trovo, una decina di persone anziane e due intorno ai 30 anni, seduti in cerchio a parlare in un cortile. Mi presento, chiarisco le mie intenzioni: «Ma cosa vi è saltato in mente? E in nome di Berlinguer, poi, dài, ma come ve vie’». Parte un dialogo che fin da subito capisco improduttivo. Cerco di sintetizzarlo. «Crea inquinamento perché riduce la carreggiata». Dico che non si riduce, ma viene resa impossibile la seconda fila perenne spostando il parcheggio dal marciapiede verso la mezzeria: la carrabile resta invariata. I soci fanno finta di non considerare l’esistenza della doppia fila. «Non si è mai vista una ciclabile rialzata». Non è rialzata, ci sono rialzi solo alle fermate dei bus e lungo la nuova linea di parcheggio. Preso da dubbio, chiedo se hanno visto il progetto. «No, però vediamo i lavori» (per ora 270 metri, ndr). Partono le alternative: «Qui vicino c’è il parco degli Acquedotti, perché non andate lì?”. Ma lei manderebbe sua figlia di notte in bici nel parco? «Certo che no, ma chi ce va in giro in bici de notte?». Un altro: «Ma non si poteva fare su via Flavio Stilicone?» (una via accanto, complanare: leggasi «levatevi dalle palle»). L’idea sarebbe «tutte le consolari», dico. «Ma proprio dalla Tuscolana dovevano comincia’?».

Voilà, sindrome Nimby servita calda calda. Ci lasciamo cordialmente ma ontologicamente incapaci di avere un terreno comune per discutere. La vicenda però è stata positiva, perché quelle argomentazioni hanno lasciato molto perplessi anche coloro che di ciclabilità non vogliono sentir parlare. In ogni caso povero Enrico.