Bastano tre settimane per mettere sul mercato una sostanza chimica, però ci vogliono più di 10 anni limitarne l’uso se si scopre che è dannosa per la salute o l’ambiente e più di 20 anni per metterla al bando. Lo afferma uno studio pubblicato lunedì scorso dall’organizzazione EEB (European Environmental Bureau), la più vasta rete europea di organizzazioni per la protezione dell’ambiente (180 in 38 paesi, tra cui Legambiente e Cittadini per l’aria) che nel titolo – The Need for Speed – richiama la necessità di accelerare sull’eliminazione dell’inquinamento chimico che ormai ha superato i limiti di sicurezza per la vita sul pianeta, come la comunità scientifica va dicendo da alcuni mesi.

Lo studio, che ha preso in esame 1.109 dossier di sostanze chimiche, è la prima puntuale verifica della durata dei controlli da parte della Commissione europea, dall’Agenzia europea delle sostanze chimiche (Echa) e degli stati membri dall’entrata in vigore nel 2007 del regolamento Reach (registrazione, valutazione, autorizzazione e restrizione delle sostanze chimiche) e del suo strumento complementare Clp (classificazione, etichettatura e imballaggio).

Se grazie al Reach abbiamo una maggiore consapevolezza di quali prodotti contengono sostanze chimiche nocive e con il Clp i consumatori sono informati dei pericoli associati ad una sostanza o miscela, tuttavia, secondo lo studio di EEB «questi passi avanti svaniscono di fronte alla lentezza dei provvedimenti normativi… Le autorità sono tenute a concedere alle aziende l’autorizzazione per utilizzare una sostanza chimica in 3 settimane, senza la possibilità di studiare prima i rischi. Però, per valutare i rischi, per verificare se le sostanze sono usate in modo pericoloso e per mettere in atto meccanismi di controllo o istruire le procedure di messa al bando, normalmente ci vogliono 13 anni e 8 mesi».

Solo per uniformare la classificazione e l’etichettatura servono in media cinque anni e mezzo. L’unico meccanismo veloce ed efficiente è quello che permette l’identificazione e l’inserimento nell’Elenco delle sostanze estremamente preoccupanti candidate all’autorizzazione, che dura in media sei mesi. In queste lungaggini le imprese possono continuare legalmente ad impiegare le sostanze tossiche.

«Operare controlli sulle sostanze chimiche pericolose è un processo estremamente lento nell’Unione Europea – dichiara Tatiana Santos, esperta di sostanze chimiche per EEB – La colpa è soprattutto dell’industria che nasconde i reali pericoli dei prodotti ingannando il più a lungo possibile il sistema. Però anche i funzionari sono responsabili del blocco delle tutele, senza giustificazioni o spiegazioni, o a causa di infinite discussioni oppure della cosiddetta paralisi da analisi. Il risultato è che oggi ritroviamo milioni di tonnellate di sostanze chimiche nei prodotti di largo consumo che i funzionari sanno essere pericolose per la salute e per l’ambiente. C’è bisogno di maggiore velocità in queste procedure. Ci auguriamo che l’imminente riforma di cui si discute a Bruxelles possa cambiare questa situazione».

Leggendo lo studio si scopre che uno degli ostacoli maggiori ad un’effettiva protezione dal rischio chimico è costituito proprio dalla Commissione Europea. Secondo i dati di ECHA analizzati dagli esperti di EEB, dopo il complesso e farraginoso processo di formulazione dei pareri scientifici, la Commissione ci impiega ancora di più a tradurli in atti normativi, tanto che il 45% delle decisioni rimangono in sospeso. Di questo passo, secondo EEB, considerando che sono circa 2 mila le sostanze che devono essere regolate o valutate, ci vorranno centinaia di anni per farlo. La conclusione dello studio è che le sostanze chimiche non vengono opportunamente controllate in Europa.

Emblematico il caso del Bisfenolo A, sostanza molto utilizzato nelle plastiche in policarbonato ad uso alimentare: la sua tossicità era già nota negli anni Trenta, ma è entrato nelle liste delle sostanze chimiche pericolose nel 2003 ed è stato inserito nella lista delle sostanze estremamente preoccupanti nel 2017, ma oggi la Commissione impedisce i controlli, rendendone ancora possibile l’uso nei contenitori di cibo e bevande. Lo studio Preveni, coordinato dall’Istituto superiore di sanità (Iss) ha dimostrato l’esposizione diffusa al Bisfenolo A nella popolazione italiana. Altri esempi riguardano i PFOA (impermeabilizzati per vari usi), per la cui restrizione all’uso ci sono voluti 11 anni e i DEHP (ftalati plastificanti), che rimangono in uso perché la Commissione ha bloccato i controlli per 7 anni.

Un nuovo studio di prossima pubblicazione commissionato dalla Commissione Europea e già visionato da EEB, rivela che 1300 sostanze chimiche utilizzate in Europa, per un totale di 23 milioni di tonnellate l’anno, sono legate a cancro, perdita di fertilità, problemi di sviluppo nei bambini e ad altri impatti sulla salute e che tali sostanze verranno messe al bando nei prossimi anni.

In aprile, la Commissione ha annunciato, tra i capisaldi del suo Green Deal, una massiva messa al bando di prodotti chimici, la cosiddetta Restriction Roadmap che, secondo Santos, «sarebbe davvero efficace nel ridurre l’inquinamento chimico, soprattutto perché ha come priorità la regolazione di interi gruppi di sostanze, invece di regolarli uno per uno come avviene ora. Siamo contenti di questo annuncio da parte della Commissione: il problema, come abbiamo dimostrato con questo studio, è che se le procedure di verifica e regolazione rimangono queste, ci vorrà un tempo infinito».