L’America latina è stata uno specchio in cui si sono riflesse le utopie e le angosce di una società europea in cerca dell’altro da sé. Nel corso del Novecento, in particolare, il continente è stato un punto di riferimento imprescindibile per le culture della nuova sinistra e per il movimento operaio in generale. Nel suo L’altra America: i cattolici italiani e l’America latina (Morcelliana, pp. 336 euro 25), Massimo De Giuseppe ci mostra un versante meno conosciuto, quello dell’influenza che le vicende latinoamericane hanno avuto nella costituzione dell’identità dei cattolici e nella proiezione missionaria della Chiesa italiana. Si è trattato, in primo luogo, del risultato dei diversi sedimenti migratori, ma anche di un processo interno alla religione che ha conosciuto la sua stagione più vivace negli anni Sessanta e Settanta attorno a una serie di problematiche specifiche: il sottosviluppo, la tutela dei diritti umani e la promozione sociale, il dialogo tra cattolici e marxisti, la dialettica pace e rivoluzione armata.

IL LIBRO RICOSTRUISCE con dovizia le interrelazioni mobilitando una mole davvero poderosa di documenti di varia natura. Anche alla luce di tale complessità, risulta quindi difficile fornire una sintesi, tuttavia De Giuseppe è abile nel mettere in luce gli snodi principali. Si parte dal 1962, l’anno della crisi dei missili cubana e dell’avvio del Concilio Vaticano II, per arrivare alle contestate celebrazioni per il cinquecentenario della scoperta delle Americhe nel 1992. Non manca anche una riflessione sulle radici, che l’autore individua nella penetrazione missionaria a opera dei padri Comboniani e Saveriani e del Pontificio Istituto missioni estere.

Gli anni del post-concilio, si è detto, sono i più interessanti perché coincidono con la circolazione anche in Italia delle teologie della rivoluzione e della liberazione. Siamo nel pieno della década del desarrollo e del suo fallimento. L’America latina ha fatto il suo ingresso nelle dinamiche della guerra fredda e ne sta pagando il prezzo; la Chiesa cattolica sta vivendo una fase di aggiornamento che, anche in virtù del contributo di padri conciliari come Câmara e Larrain, coincide con la riscoperta di una carica missionaria a servizio dei poveri con la quale ripensare le categorie di peccato e liberazione.

NEL CATTOLICISSIMO continentale queste due tendenze non possono che incrociarsi producendo contraddizioni esplosive delle quali teologi come Gutiérrez, Boff e Comblin intendono farsi interpreti. In Italia le parole d’ordine della «Chiesa povera e dei poveri» si diffondono a vari livelli e producono effetti diversi a seconda dei ricettori. Il libro ricostruisce le tappe della politica latinoamericana di La Pira e Fanfani, il fondatore dell’Iila (Istituto Italo-latinoamericano), a cui fa da pendant l’istituzione del Centro ecclesiale italiano per l’America Latina sotto la regia della Cei.

MA LA LEZIONE continentale investe anche i nodi dell’impegno dei cattolici a sinistra e della sua rifondazione. Per esempio, nell’esperienza dei Cristiani per il socialismo, movimento nato in Cile e arrivato in Italia nel 1973 su iniziativa di Giulio Girardi, l’America latina illumina le connivenze della Chiesa con il potere capitalistico e spinge verso l’«amore rivoluzionario». Domina il dibattito sulla liceità della violenza in una cornice democratica: come ha insegnato l’enciclica Populorum progressio, se di tirannia del capitalismo si tratta, il cristiano ha il dovere di combatterla. La Dc è parte del problema, il Pci può esserlo della soluzione. Un discorso analogo vale per la gerarchia ecclesiastica, chiamata dalla conferenza continentale di Medellín (agosto 1968) a contrastare sottosviluppo e sfruttamento.

Paolo VI si ritrova così a svolgere il ruolo di pompiere, suscitando le critiche di coloro che non accettano il suo silenzio sulla morte del sacerdote guerrigliero Camilo Torres e guardano ormai alla nuova sinistra. Il libro mostra come non fossero esenti da tali suggestioni neppure i giovani democristiani, gli studenti della Fuci, le Acli, Pax Christi e Mani Tese e perfino i seguaci di Giussani. È questo, del resto, anche il periodo in cui si sviluppano le ong cattoliche, come la Focsiv, nelle quali si può leggere con chiarezza l’intreccio tra spirito pacifista, che De Giuseppe considera comunque dominante, e mito guerrigliero.

SUL PIANO DELLA POLITICA dei partiti l’evento spartiacque è l’11 settembre 1973, che si ripercuote nelle dinamiche tra democristiani e comunisti. Tre anni dopo, con il colpo di Stato di Videla in Argentina si apre una lunga stagione segnata da quelle contraddizioni all’interno della Chiesa che ben conosciamo e che sono tornate all’onore delle cronache dopo l’elezione di papa Bergoglio. Nello stesso periodo, la conferenza dei vescovi di Puebla smorza i toni liberazionisti e apre le porte alla «normalizzazione» degli anni Ottanta.
I capitoli dedicati alle vicende degli ultimi trent’anni sono probabilmente i più originali. Per la prima volta, si ricostruisce l’impatto che hanno avuto sul mondo cattolico italiano la rivoluzione sandinista e, otto mesi dopo, l’omicidio dell’arcivescovo salvadoregno Oscar Romero durante la celebrazione eucaristica. Si è trattato della più grande mobilitazione cattolica per l’America latina messa in piedi con il contributo del card. Martini e di militanti quali Turoldo, La Valle, Balducci e Linda Bimbi, quest’ultima attivista di rilievo del Tribunale Russell. Romero, di cui era nota l’ortodossia e la vicinanza all’istituzione ecclesiastica, sarebbe diventato il simbolo del martirio religioso nell’America latina dei regimi militari.

PIÙ IN GENERALE, la mobilitazione permette di comprendere il mutamento d’immaginario dei cattolici italiani: dall’utopia rivoluzionaria alla campagna per gli Human rights, rilanciata nel 1983 dalla tragica morte di Marianela García Villas, attivista nota a livello internazionale, ferita e lasciata morire dai corpi speciali. È un passaggio chiave della New Cold War che si inserisce in una trasformazione più vasta: tra l’involuzione post-conciliare e la crisi del Left Catholicism internazionale. In America latina, anche in conseguenza delle direttive romane, l’accento della Chiesa si sposta dalla battaglia per i poveri alla più innocua e generica categoria dell’evangelizzazione. Nelle società europee le bandiere dei diritti umani e del pacifismo sembrano rimaste le ultime sventolabili.

La ricostruzione si chiude con alcune pagine molto interessanti sull’accoglienza della questione indigena nell’Italia degli anni ’90, cioè alla vigilia della diffusione della narrazione neo-zapatista nei movimenti cattolici che scenderanno in piazza al G8 di Genova. La recente esperienza della rete dei movimenti popolari, messa in piedi dall’entourage di papa Francesco seguendo il modello di Porto Alegre e dei Social forum, dimostra che l’America latina non ha cessato di essere un laboratorio di riferimento. Il pontificato attuale, del resto, è figlio di quella storia continentale e delle sue contraddizioni. Il merito principale di De Giuseppe sta nel farci capire che è stata una vera storia globale.