Doveva essere lo strumento con cui le proposte congressuali della Cgil tornavano al centro della discussione politica. Si è trasformato in gran parte in un palcoscenico per politici che si parlavano sopra, lanciavano slogan e proposte alternative senza alcun impegno ad appoggiare quelle della Cgil.

La mattinata all’Acquario Romano aveva radunato ben otto leader di partito: Enrico Letta del Pd, Giuseppe Conte del M5s, Ettore Rosato (venuto al posto dell’invitato Renzi) per Italia Viva, Roberto Speranza per Articolo Uno, Elly Schlein per Coraggiosa con Carlo Calenda di Azione ai fianchi di Nicola Fratoianni di Sinistra Italiana e Maurizio Acerbo di Rifondazione.

Gran cerimoniera la giornalista Lucia Annunziata che ha esordito parlando di «svolta» per questo «Il lavoro interroga», «talk» e «panel» a dimostrare che ora il sindacato parla inglese.

La vicesegretaria unica della Cgil Gianna Fracassi ha cercato di instradare il dibattito sul tema della «crisi della rappresentanza sociale», «sui 20 anni di politiche che hanno tolto diritti al lavoro». Ma il dibattito è andato subito da un’altra parte.

Enrico Letta ha immediatamente parlato per slogan e frasi fatte: «autunno complicato», «rischio recessione», «crescita conflitto sociale», «diseguaglianza preoccupante», «agenda sociale», «questione salariale». Proposte o soluzioni pratiche: zero.

Ancor più vago Giuseppe Conte che si è limitato a ricordare «le schede bianche come scelta del Saggio sulla lucidità dello scrittore Saramago».

Platea di dirigenti Cgil molto fredda che si è scaldata solo quando Elly Schlein – unica donna – ha sottolineato la «discriminazione di genere che oggi mi sembra di rappresentare» e ha proposto «un nuovo Statuto delle lavoratrici e dei lavoratori», senza spiegare però quali innovazioni metterci dentro rispetto a quello del 1970.

Rosato si è limitato a disquisizioni semantiche sulla «disuguaglianza che in Italia è minore che in altri paesi» mentre Carlo Calenda ha rischiato di essere fischiato centrando il suo primo intervento sull’«energia nucleare, unica certezza per il futuro». Maurizio Acerbo è stato applaudito quando ha ricordato i contratti dei medici, degli infermieri e del personale delle pulizie che lo hanno curato in un ospedale pubblico durante il Covid – rispettivamente «partite Iva, somministrati, cooperativa tedesca» – senza ottenere risposta dal ministro Speranza. Sottolineare le contraddizioni del governo Draghi è stato gioco facile per Nicola Fratoianni.

Finito il primo giro di «talk» è stato direttamente Maurizio Landini a rilanciare le proposte congressuali della Cgil: «Sulla precarietà proponiamo un unico contratto di formazione fondato sulla stabilità da inserire già in legge di bilancio; sul taglio del cuneo fiscale di darne i benefici ai soli lavoratori senza tagliare i contributi; sulle pensioni la pensione di garanzia contributiva per precari e giovani, il riconoscimento del lavoro di cura delle donne, la flessibilità in uscita e più spazio ai lavori gravosi; sul salario minimo la validità erga omnes del Trattamento economico complessivo dei contratti nazionali e una legge sulla rappresentanza; un aumento reale dei salari: i 200 euro di bonus di luglio devono esserci tutti i mesi».

Le risposte dei partiti maggiori sono state desolanti. Enrico Letta ha parlato solo di «scadenza del decreto Dignità e di modifica (quale?, ndr) sulle causali», Giuseppe Conte ha difeso il Reddito di cittadinanza. Calenda ha attaccato le pensioni («soldi tolti all’educazione»), Elly Schlein ha proposto il modello spagnolo, Speranza ha ricordato il rinnovo del contratto della sanità mentre l’unico a proporre di «abolire il Jobs act» è stato l’applaudito Nicola Fratoianni.

Difficile capire se l’ormai pragmatico Maurizio Landini si aspettasse qualche impegno preciso. Il segretario della Cgil ha comunque concluso rilanciando i concetti battaglieri già lanciati a piazza del Popolo il 18 giugno: «Noi questa volta non ci accontenteremo di essere convocati a ottobre dal governo che ci illustra la legge di bilancio. Ci mobiliteremo per scriverla noi, perché abbiamo l’ambizione che il lavoro non sia più una merce, di dare vincoli al mercato e più dignità nel rapporto persone imprese».

A giudicare dalle risposte dei partiti di maggioranza ci sarà da lottare e mobilitarsi parecchio.