Lavoro

La Cgil lancia il nuovo statuto dei lavoratori

La Cgil lancia il nuovo statuto dei lavoratoriIl segretario della Cgil Susanna Camusso

Diritti Il sindacato lancia la carta dei diritti universali del lavoro. Novanta articoli per tutto il mondo del lavoro: autonomi e dipendenti. Consultazione degli iscritti dal 18 gennaio. Il progetto di una legge di iniziativa popolare e un referendum contro il Jobs Act

Pubblicato più di 8 anni faEdizione del 13 gennaio 2016

La proposta di un nuovo statuto dei lavoratori e delle lavoratrici è stato presentato ieri dalla Cgil in un’assemblea con i rappresentanti delle camere del lavoro toscane all’Obihall di Firenze. Il documento è il risultato di un lungo e ambizioso lavoro e conta su quasi 90 articoli (qui il link a una sintesi). Il sindacato di Corso Italia lo sottoporrà a una consultazione straordinaria degli iscritti che partirà il 18 gennaio e si concluderà il 19 marzo.

Il testo sarà l’oggetto di una legge di iniziativa popolare. Due sono i quesiti sui quali gli iscritti sono invitati a esprimersi: il primo è sul testo che prevede l’estensione di modelli di partecipazione a tutti i lavoratori, regole per la rappresentanza che uniscano pubblico/privato, aziende di grandi/piccole dimensioni, lavoratori standard/atipici e introduce norme specifiche per i lavoratori autonomi; il secondo è sul mandato a proporre un referendum abrogativo del Jobs Act che per la Cgil ha deregolamentato e precarizzato il lavoro.

Lo statuto che sfida Renzi

Inizia così la sfida al governo Renzi che nel 2017, dopo quello sulle riforme costituzionali previsto a ottobre, dovrebbe portare al voto gli italiani contro la riforma della scuola o lo «Sblocca Italia». Con la proposta del nuovo Statuto dei lavoratori la Cgil intende sfidare il presidente del Consiglio sul terreno dell’universalismo. Il Jobs Act ha «cancellato le norme sul contrasto al lavoro sommerso e minato il diritto a lavorare in sicurezza» e ha proseguito la tradizione delle leggi che hanno precarizzato il lavoro, colpito l’equilibrio tra la legge e la contrattazione, bloccato la contrattazione nel pubblico impiego ed esteso la derogabilità a leggi e contratti.

La «Carta dei diritti universali del lavoro» presenta una contro-strategia: vuole «ricostruire il diritto del lavoro», estenderlo a tutti i lavoratori, indipendentemente dalle tipologie contrattuali: subordinati, atipici, autonomi, pubblici e privati, di qualsiasi impresa. Lì dove il precariato ha diviso, la Cgil si propone di riunificare. Si parla di garantire il diritto alla maternità/paternità, a una «pensione dignitosa», alla formazione continua, al reintegro del lavoratore per i licenziamenti illegittimi ripristinando l’articolo 18 anche per le aziende sotto i 15 addetti cancellato dalla riforma Fornero e dal Jobs Act.

La Carta propone inoltre di ridurre o cancellare il record mondiale italiano della precarietà. Nel nostro paese esistono 47 tipologie di contratti precari precarietà che comprendono l’ossimorico «contratto a tutele crescenti» del Jobs Act: un contratto che ha creato una nuova categoria di «stabilmente precari» e durerà fino alla fine degli incentivi alle imprese. «Vanno tutte ricondotte alle modalità di svolgimento di lavoro». «Tutti i lavoratori devono avere gli stessi diritti» si legge nel volantino distribuito dell’iniziativa.

Un Welfare alla Bismarck?

Un elemento problematico del testo è rappresentato dal diritto al sostegno al reddito. Da un lato, il sindacato chiede giustamente di garantirlo a tutti i lavoratori, anche per periodi dell’anno e di contrazione dell’attività produttiva. Dall’altro lato, parla di un «sistema assicurativo che preveda trattamenti economici tali da assicurargli un’esistenza libera e dignitosa». Così argomentato sembra che la Cgil faccia una scelta: il welfare alla Bismarck contro quello di Beveridge.

La scelta del criterio assicurativo e non di quello universalistico del Welfare potrebbe essere stata adottata per la mancanza di risorse che attualmente impedisce di adottare una misura di integrazione universalistica al reddito garantito dalla fiscalità generale. Ma un «nuovo» statuto del lavoro dovrebbe contenere una riforma del welfare e una del fisco, riformando radicalmente le misure di sussidio e assistenza oggi profondamente inique e ripristinando la progressività della tassazione sui redditi come, tra l’altro, prefigura Antony Atkinson nel suo recente Disuguaglianza. Che cosa si può fare.

Chiedere, invece, di rafforzare il sistema assicurativo rischia di incidere sulle aliquote assistenziali dell’Inps a carico dei lavoratori indipendenti, proprio quei soggetti che lo statuto della Cgil intende tutelare. Come potrebbero i precari pagarsi un’assistenza del genere dato che tutti gli studi dimostrano la loro povertà? La proposta della Carta è una risposta alle sollecitazioni giunte, da sinistra e da un vivace movimento associativo dei freelance, da dieci anni a questa parte.

Includere tutti

La sollecitazione a ripensare una cultura basata sull’egemonia del lavoro dipendente sembra essere stata colta dalla Cgil all’interno di un rinnovato universalismo giuridico – che rischia tuttavia di restare troppo astratto – e dell’idea della «contrattazione inclusiva» rivolta ai «precari o lavoratori degli appalti, lavoratori di diverse aziende di uno stesso sito o di una filiera».

Il problema è: come «includere» i lavoratori che svolgono attività fuori dai contratti nazionali e da quelli aziendali? Questioni aperte che, si spera, verranno affrontate nel dibattito annunciato da Serena Sorrentino, segretaria nazionale della Cgil, ieri a Firenze: «Con la proposta del nuovo Statuto dei lavoratori ci assumiamo una grande responsabilità, vogliamo aprire un dibattito nel Paese».

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