“L’unica parte della cosiddetta ricchezza nazionale che entra realmente in possesso della collettività dei paesi moderni è il debito pubblico” diceva un barbuto filosofo che qualcosa del capitalismo aveva studiato.
Nonostante, l’assioma sia di oltre un secolo e mezzo fa, sembra la miglior descrizione dell’avvenuto “ritorno di Autostrade nelle mani dello Stato”, così come sbandierato da giornali e forze politiche, neanche fossimo di fronte ad un’inversione di rotta senza precedenti.

Della storia della privatizzazione delle autostrade in Italia, trasformate da bene pubblico in bancomat per la famiglia Benetton, avevo già scritto , prefigurandone l’esito.

Ora il dado è tratto: un consorzio formato da Cdp Equity (parliamo della gestione di 275 miliardi di risparmi dei cittadini) e dai fondi d’investimento internazionali Blackstone Infrastructure Partners e Macquarie Asset Managment ha sottoscritto l’accordo con Atlantia per l’acquisizione dell’88,06% di Aspi (Autostrade per l’Italia). Il tutto avverrà attraverso la costituzione di una nuova società Holding Reti Autostradali S.p.a. (Hra), le cui quote saranno così distribuite. 51% a Cdp Equity, 24,5% a Blackstone e 24,5% a Macquarie. Il consorzio verificherà le intenzioni degli azionisti di minoranza di Aspi, per capire se acquisire anche l’11,94% di quote rimaste in loro possesso.

La firma del contratto è stata definita dai media mainstream un fatto “storico” perché dopo 22 anni di privatizzazione la gestione delle autostrade torna in mani pubbliche, ed anche un segnale della determinazione dello Stato, che, a quasi tre anni dal crollo del Ponte Morandi a Genova, ha regolato i conti con la famiglia Benetton.

Già, i conti. Poiché il diavolo sta nei dettagli, vediamone assieme i principali.
La valutazione del 100% d Aspi è pari a 9.1 miliardi di euro. Quindi l’acquisto dell’88,06% di Aspi comporta un esborso di 8 miliardi. Ma la nuova società si accolla anche il debito in capo alla precedente; debito passato da 1,8 miliardi del 1999 (prima della privatizzazione) agli attuali 10.9 miliardi (!!) con un rapporto di 6 volte rispetto al patrimonio netto.

Poiché la rete autostradale, rispetto alla privatizzazione, è rimasta pressocché immutata (3.119 km allora, 3019 km oggi) possiamo dire che la determinazione dello Stato ha raggiunto il brillantissimo risultato di riprendersi quello che aveva venduto, con il carico aggiuntivo del debito lasciato dal privato da pagare.
E come ne escono i Benetton? Dal 2000 ad oggi, la società di gestione delle autostrade (Autostrade prima, Aspi successivamente) ha prodotto dividendi pari a 9 miliardi (sempre distribuiti agli azionisti, compreso l’anno del crollo del ponte Morandi), 2,7 dei quali sono la quota spettante alla famiglia Benetton. Se a questi sommiamo la quota parte di 2,4 miliardi derivanti dal contratto appena firmato, il risultato finale è che i grandi (im)prenditori portano a casa oltre 5 miliardi di utili e si scrollano il fardello del debito.

Dopo questo brillante risultato, il nuovo amministratore delegato di Cassa Depositi e Prestiti, Dario Scannapieco, annuncia che la nuova società Hra è pronta ad attuare un grande progetto infrastrutturale con l’obiettivo di “contribuire alla realizzazione di un vasto piano di investimenti in tutta la rete autostradale di Aspi; promuovere il miglioramento della rete per agevolare la digitalizzazione e l’innovazione; migliorare l’efficienza dei programmi di manutenzione dell’infrastruttura per garantire i massimi livelli di prestazioni e sicurezza per gli automobilisti; offrire stabilità a lungo termine nella gestione di un’infrastruttura italiana essenziale per la comunità e l’economia”.

Come farà, con investimenti immediati per evitare altre tragedie, un consistente debito da restituire e un organico che, grazie alla privatizzazione, si è ridotto del 35,4% (dai 10.107 del 1999 agli attuali 6.621), non è dato sapere.
O forse si: che sia giunto il momento di ritoccare verso l’alto le tariffe?