Per la sua prima uscita da avversario di Matteo Renzi alle primarie del Pd che si celebreranno nel giorno del 35° anniversario dell’assassinio a Palermo dello storico leader del Pci Pio La Torre e del suo collaboratore Rosario Di Salvo, Andrea Orlando ha scelto un nome e un luogo simbolo della lotta alla mafia: Cinisi.

Qui Peppino Impastato, ucciso dai killer del boss Tano Badalamenti, ha combattuto contro Cosa nostra lanciando i suoi strali da radio Aut. E proprio dal circolo «musica e cultura di radio 100 passi ragazzi» aperto a Palermo, il ministro Orlando è partito per il suo tour “elettorale” con lo scopo di acquietare gli animi degli scissionisti pentiti e dei sinistroidi che alla «Cosa rossa» preferiscono le acque tutto sommato quiete dell’opposizione interna al renzismo. Perché «la politica della prepotenza», argomenta l’aspirante leader rivolgendosi anche ai suoi, «è la politica che cerca di affermarsi delegittimando l’avversario piuttosto che facendo valere le proprie idee, che zittisce l’avversario alzando i decibel piuttosto che facendo valere i propri argomenti».

«Questa politica – sbotta il ministro prima del governo Renzi e ora del governo Gentiloni – ha stufato, la gente vuole una soluzione ai problemi e non che si usino i propri problemi per costruire il consenso». E tra i destinatari del suo messaggio c’è anche Michele Emiliano, il governatore della Puglia, anche lui in corsa per le primarie dopo aver rotto il patto con Enrico Rossi e Roberto Speranza, rimanendo dentro il Pd. «Un tasso di populismo purtroppo è entrato nelle vene di ciascuno di noi e quello che è pericoloso è che è entrato anche nel dibattito del Pd», sostiene Orlando. Quindi, riflette, «se diventiamo troppo simili agli altri allora è meglio l’originale della copia».

La sua parola d’ordine, da qui al 30 aprile, sarà «stare tra la gente». «Dobbiamo dare il tempo ai nostri militanti non soltanto di ascoltarci, ma anche di poter dire qualcosa», avverte. Rassicurando sul fatto che «della politica di palazzo in questo momento non mi interesso, mi interessa soprattutto ascoltare le persone». Perché «abbiamo detto molte cose in questi anni, alcune giuste, altre sbagliate, ma ci siamo un po’ dimenticati di ascoltare la gente», l’autocritica un po’ tardiva di Orlando.

Il ministro comunque è convinto di potersi giocare le sue chance per la leadership del Nazareno: «Se non pensassi di farcela non mi sarei candidato». Spostandosi poi sui temi della giustizia e in particolare sulla riforma della prescrizione invocata dopo il caso di stupro a Torino, Orlando ha ricordato che «c’è un ddl sulla riforma penale fermo al Senato da tantissimo tempo, che affronta diversi punti tra cui quello della prescrizione: mi auguro vada in discussione la settimana prossima» anche «perché sento che altre forze della maggioranza devono pensarci ancora un po’». Ma «di fronte a una vicenda come quella di Torino non c’è più tempo, il tempo è scaduto, e chi non lo fa deve assumersi la propria responsabilità». «Io le mie scuse le ho già rivolte – ha aggiunto il guardasigilli – e non posso che ribadirle qui. Si è trattata di una delle più brutte pagine scritte della giustizia italiana». Così come, per Orlando, «bisogna rafforzare tanti strumenti nella lotta alla mafia ma anche essere consapevoli della strada che si è fatta perché così si è anche più capaci di affrontare i prossimi passaggi, l’esistenza della mafia oggi viene universalmente riconosciuta come il male e queste acquisizioni sono fattori importanti e non un fatto scontato».

Per il ministro «dire ai giovani di combattere la mafia e di farlo sotto l’egida di un protettore laico come Peppino Impastato ci deve rendere orgogliosi della capacità che l’Italia ha avuto di percorrere un cammino che è costato tante vite umane».