Mentre si avvicina la manifestazione di Ventimiglia del 30 aprile per la solidarietà e contro l’intolleranza è interessante vedere cosa sta succedendo per i migranti sui due versanti del confine italo-francese. C’è un libro – Passeur  di Raphaël Krafft – di cui in questi giorni in Francia si parla non poco. L’autore, un noto giornalista radiofonico che collabora, tra l’altro, con France Culture, nel settembre 2015 viene inviato a Ventimiglia per un servizio sugli immigrati; si trova a vivere lo sgombero del Presidio dei Balzi Rossi e, col suo microfono in azione, a riparare assieme ai migranti sui celebri adiacenti scogli.

Qualche giorno dopo, accompagna un’avvocatessa venuta da Parigi per fornire assistenza agli ospiti del campo profughi della città di confine. È lì che scatta la molla. Una famigliola sfuggita all’inferno di Kirkuk racconta al legale il proprio caso. «Avete il sacrosanto diritto all’asilo politico» – «Dove possiamo chiederlo?» – «A Nizza» – «Bene, andiamo» – «Non è possibile, perché la frontiera è bloccata dalla polizia».

Ma dove sono andati a finire i principi del 1789 sui quali, fino a prova contraria, è ancora fondata la nostra Repubblica? si chiede Raphaël «Bisogna che la gente sappia. Bisogna organizzare un clamoroso atto di disobbedienza civile che scuota l’opinione pubblica». E l’idea che dà l’innesco all’avventura raccontata nel libro prende rapidamente forma. Assieme all’amico Thomas, pur sapendo di rischiare 5 anni di reclusione, il giornalista conduce in Francia due giovani sudanesi attraverso il colle di Finestra, nel Cuneese. A quota 2474, una targa commemora il passaggio degli ebrei nel 1943: «Tu che passi libero ricorda che questo è stato ogni volta che accetti che un altro abbia meno diritti di te».

La disobbedienza civile era nell’aria se è vero che, nei mesi successivi, decine di abitanti della francese Val Roja si organizzano per portare cibo ai migranti bloccati in quella specie di Calais che sta diventando Ventimiglia. Alcuni vanno più in là e prendono a fare i passeur-umanitari. Tra tutti spicca, il coltivatore di Breil Cédric Herrou, un giovane che obbedisce alle leggi del cuore, come direbbe don Ciotti.

Come resistere alla tentazione di dare conforto e alloggio nella propria fattoria a migranti spossati che, mal coperti e muniti di scarpe sfondate, hanno camminato di notte sotto la pioggia per ore ed ore per percorrere i 25 chilometri che separano Breil da Ventimiglia? C’è il cuore e c’è la memoria familiare: sua nonna è sfuggita ad Hitler trovando riparo in Francia, la «terre d’asile» che allora era orgogliosa di aprire le braccia a chi aveva bisogno. Seguono poi tanti altri (francesi ed italiani, ma nell’azione queste identità tendono a scolorire): Pierre-Alain Mannoni, Francesca Peirotti, Félix Croft, ecc., senza parlare dei nove incriminati per non aver ottemperato al divieto del sindaco di Ventimiglia di distribuire cibo ai migranti.

I prefetti delle Alpi Marittime e di Imperia si incontrano e si coordinano manifestando un atteggiamento ostile nei confronti di chi si «macchia» di questi «delitti di umanità». I no border (peraltro scomparsi dalla zona a causa delle raffiche di fogli di via subite) turbano i sogni delle autorità italiane: ogni misura che viene presa tiene conto della necessità di combattere i loro pericolosi, ma inesistenti, maneggi; contro di essi, per esempio, era stata varata l’ineffabile ordinanza – attualmente per fortuna sospesa – che vieta la distribuzione del cibo.

In Francia si usano le maniere forti: perquisizioni effettuate da poliziotti armati fino ai denti o chiusura pasquale della frontiera di Ponte San Ludovico in occasione di una tranquilla manifestazione. Diverso è l’atteggiamento della magistratura. In Francia, i militanti sono fino ad ora stati di massima assolti o hanno subito lievi condanne, suscitando le ire dei ras della politica locale; sono stati anzi sanzionati alcuni prefetti per aver respinto minori in Italia o per aver impedito ai migranti di esercitare il loro diritto di richiedere asilo.

Per quanto riguarda il nostro Paese, un segnale fortemente positivo viene fornito dalla sentenza emessa ieri dal Tribunale di Imperia che ha assolto Félix Croft per il quale erano stati richiesti 3 anni e 4 mesi di reclusione. Félix che, per motivi limpidamente umanitari, aveva cercato di portare in Francia una famiglia proveniente dal Darfur, rischiava di incappare nei rigori della legge che combatte i mercanti di carne umana. Ma il fatto, secondo il Tribunale, non costituisce reato.