Dopo la crisi che ai primi del Trecento aveva opposto il re di Francia, Filippo il Bello, e papa Bonifacio VIII, a quest’ultimo era succeduto Benedetto XI; ma dopo il suo breve regno la scelta cadde su un cardinale francese, Bertrand de Got, consacrato a Lione con il nome di Clemente V. Fortemente condizionato dalla volontà del re di Francia, egli scelse come nuova sede del governo papale la cittadina franco-meridionale di Avignone, che divenne un importante centro economico e culturale.

UNA LUNGA TRADIZIONE storiografica, sovente ispirata a moralismo, ha attribuito foschi colori a questo periodo del papato, indicato – con espressione biblica – come «cattività avignonese». Che, tuttavia, solo nei primi anni fu segnato da una effettiva soggezione nei confronti del re di Francia. Di lì a poco sarebbe iniziata la guerra dei Cent’anni, che avrebbe impedito ai sovrani francesi, a loro volta entrati in una lunga crisi politica, di esercitare sui papi una vera influenza.

Da Avignone, i pontefici irradiarono anzi sull’Europa del Trecento un prestigio – tradotto in termini politici, teologici e fiscali – molto forte. Alla corte di Avignone soggiornarono personaggi come Francesco Petrarca e Simone Martini, contribuendo a fare di essa il centro di attrazione di ricche forze culturali. I papi del periodo avignonese furono sovente politici avveduti e generosi mecenati, nonché finanzieri competenti: la città francese divenne mèta dei più grandi banchieri del tempo. Da Avignone non cessarono nemmeno di pensare al loro stato centro-italico, e inviarono energici legati pontifici, come i cardinali Bertrando del Poggetto e Egidio Albornoz, con l’incarico di riorganizzarlo preparando così il loro ritorno.

AD ALBORNOZ è dedicata la monografia, fra biografia e studio del contesto, di Francesco Pirani: Con il senno e con la spada. Il cardinale Albornoz e l’Italia del Trecento (Salerno editore, pp. 236, euro 20). Nato alla fine del XIII secolo a Cuenca in Nuova Castiglia, apparteneva a una famiglia della piccola nobiltà. Aveva studiato diritto canonico ed era entrato alla corte di Alfonso XI di Castiglia come membro del Consiglio regio, per poi divenire, nel 1338, arcivescovo di Toledo, primate di Spagna e cancelliere del re. La brillante carriera ne attesta le capacità, da Pirani analizzate in rapporto alla sua opera in Italia, dove fu inviato da Innocenzo VI. La sua pratica di guerra e di diplomazia, insieme alla dottrina di giurista, lo qualificarono per l’azione nello Stato della Chiesa dove, in assenza del pontefice, diversi signori locali conducevano politiche indipendenti, come i Malatesta di Rimini.

La storia del cardinale Albornoz permette a Pirani di entrare nelle vicende che agitavano l’Italia del Trecento, ancora lontana (come del resto l’Europa) dalla ripresa dopo la crisi economica della prima metà del secolo e l’arrivo della peste fra 1347 e 1351. Da questa fase sarebbe emerso un continente rinnovato, nel quale le monarchie feudali evolvevano in regni nazionali assoluti; una strada seguita dal papato stesso dopo il ritorno, nel XV secolo, nella sua sede romana.