Nei giorni scorsi hanno cominciato ad apparire in rete e sulle riviste specializzate le prime classifiche dei migliori film giapponesi usciti nell’anno passato, accompagnate dai vari premi a registi ed attori. Fra quest’ultimi i Mainichi Film Awards sono fra i più prestigiosi e premiano annualmente, fin dal lontano dal 1946, film, sceneggiatori, regia, interpretazioni e tutto quello che ruota attorno alla realizzazione di un lungometraggio.
Miglior film giapponese del 2019 è stato giudicato Listen to the Universe diretto da Kei Ishikawa che ha vinto anche il premio come miglior regista, mentre il riconoscimento come miglior attore è andato a Ryo Narita per Katsuben!, opera incentrata sulla vita di un benshi, e quello di miglior attrice a Shim Eun-kyung per The Journalist. Proprio su quest’ultimo film vale la pena di spendere alcune parole, perché al di là delle sue qualità prettamente cinematografiche, non eccelse, scoperchia una piccola scatola degli orrori della società giapponese contemporanea. Diretto da Michihito Fujii , The Journalist è liberamente ispirato alla figura di Isoko Mochizuki, una giornalista del Tokyo Shimbun da un paio di anni a questa parte finita sulla lista nera dei politici, perché scomoda e perché in parole semplici si limita a fare il suo lavoro, domanda, esige risposte concrete e mette in discussione lo status quo. Mochizuki è protagonista, questa volta direttamente, di Documentary of the Journalist, un documentario presentato lo scorso ottobre al Festival Internazionale di Tokyo e diretto da Tatsuya Mori, che ne segue l’ostinazione nel tartassare i politici con domande «difficili» e per niente preparate. Tornando a The Journalist, Erika Yoshioka, la protagonista interpretata dalla giovane Shim Eun-kyung, è una giornalista nippo-coreana educata negli Stati uniti che un giorno riceve dei documenti segreti, dove si descrive il progetto per costruire una nuova università di medicina.

ACCANTO a questa storia se ne sviluppa un’altra parallela e ad essa correlata, quella di Takumi Sugihara, interpretato da Tori Matsuzaka, un impiegato che lavora in un’agenzia governativa che si accorge come questa sia complice nel manipolare le notizie e creare false narrazioni ed insabbiamenti per proteggere i politici o potenti di turno «per il bene del paese». Fra queste manovre ci sono anche degli attacchi ad una donna che ha subito violenze sessuali da parte di un politico, cortine di fumo per discreditare la vittima, anche questa una vicenda ispirata, purtroppo, da fatti di cronaca accaduti negli scorsi anni. I percorsi dei due si incontrano e insieme proveranno a portare alla luce gli scandali e il muro di false notizie che contribuisce a creare la bolla mediatica in cui spesso vengono presentate le verità «ufficiali» nell’arcipelago.
Il film, benché girato in maniera professionale e se vogliamo anche con un certo stile, non è memorabile per le sue scelte espressive, spesso fuori luogo e tropo stilizzate, ma come detto all’inizio, rappresenta comunque un vigoroso pugno assestato all’illusione mediatica che permea la realtà giapponese. Troppo spesso infatti i media dell’arcipelago sono come dei cagnolini addestrati davanti al politico di turno, specialmente se in carica, e la rappresentazione di giornalisti e reporter verso il grande pubblico è spesso quella di animali predatori solo pronti ad usare e causare scandali. Una scelta coraggiosa ed interessante che ha evidentemente premiato, è stata quella di creare ed affidare il ruolo dell’outsider ad un’attrice coreana, Shim Eun-kyung, già vista nel popolare Train to Busan. Uno dei messaggi più forti che resta impresso allo spettatore è che il mestiere del reporter in Giappone, per essere fatto con interezza e spirito d’indagine, debba essere affidato a qualcuno che venga dall’esterno.

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