Abbiamo vinto!», esclama Rosina Pozzi uscendo, il 10 gennaio, dalla Conferenza dei servizi della Regione Lazio che si è chiusa negando l’Aia, l’autorizzazione integrata ambientale, al «Mostro». Pozzi – come si legge nel suo esposto è «cives nativo e discendente delle famiglie originarie, venuta a conoscenza, in modo occasionale ed informale, del progetto» – una delle cittadine e dei cittadini che s’è battuta per più di un anno contro un progetto di centrale a biogas in un territorio, fino a pochi anni fa, noto solo per la beffa dei servizi deviati nel vivo del caso Moro. Poi la Birra del Borgo ha dato nuova fama al Comune di Borgorose grazie al successo delle birre artigianali. Il progetto di Acea Ambiente avrebbe potuto sfregiare questo pezzo di Appennino centrale, incastonato tra l’Abruzzo e il Lazio, con un impianto progettato tra le fabbriche abbandonate di un piccolo (ex) nucleo industriale, a pochi metri dalla fabbrica della birra e proprio all’ingresso della Riserva Naturale dei Monti della Duchessa, 3500 ettari che racchiudono l’intera biodiversità dell’Appenino tra 800 e 2184 metri.

GLI STESSI CHE ILLUSERO IL CIRCONDARIO con l’idea dello sviluppo industriale avrebbero preferito impianti di risalita e l’indotto distruttivo degli sport invernali ma le lotte degli abitanti condussero alla proclamazione della Riserva nel 1990. Emanuela Peria e Silvia Scozzafava, responsabili naturaliste della Riserva, spiegano che ospita 1200 specie vegetali, 42 di orchidee, due Zsc (zone speciale di conservazione) per una fauna altrettanto varia, un’area di connessione per il transito dell’orso marsicano ma che «non è un santuario» piuttosto «un territorio vissuto con le tracce di una lunga frequentazione umana, con la possibilità di conservazione attiva, di una convivenza armonica tra wilderness e paesaggi a mosaico cioè la biodiversità risalente agli usi tradizionali e ora minacciata dai processi di abbandono».

IL PROGETTO DI «REALIZZAZIONE di un impianto di gestione rifiuti urbani e speciali non pericolosi mediante processo integrato di digestione anaerobica e compostaggio con valorizzazione energetica del biogas» punta a sfruttare l’incrocio tra l’autostrada per Roma e dorsale appenninica per 42 tir triasse al giorno, quasi 17 mila l’anno per scarrozzare 76 mila tonnellate di fanghi attivi con tutta l’opacità del ciclo dei rifiuti di questo paese. «Per questo lo chiamiamo il Mostro», spiega a L’ExtraTerrestre Tonino Spera, presidente dell’Asbuc, l’Amministrazione Separata dei Beni di Uso Civico, vale a dire i commons di cui parlava anche Marx. «Terreni utilizzati da secoli dalle comunità per il legnatico e il pascolo», dice Roberto Tupone, cultore di storia locale. «Perché sugli usi civici (per di più gravati dal vincolo di perpetua destinazione agro-silvo-pastorale) non è possibile usucapione e sono alienabili solo con una delibera specifica – riprende Spera – gli amministratori dell’epoca non ricordano nulla. Il comune, nel 1973, ha espropriato l’area ma se non ha chiesto lo sgravio dall’uso civico, che al momento non risulta, nel nucleo industriale il Mostro non potrà sorgere». Infatti è stata proprio la scoperta che quella vecchia fabbrica sorge su un’area gravata da usi civici a inceppare la marcia trionfale di Acea a cui la Regione Lazio, con una certa disinvoltura, aveva già concesso la Via.

IL 22 LUGLIO SCORSO L’ITER SI È BLOCCATO in sede di Aia e la Regione s’era data sessanta giorni per verificare sia le osservazioni dell’Asbuc sia quelle del sindaco di Borgorose che è anche presidente della Provincia di Rieti e in quelle vesti ha presentato due pareri negativi, uno sul piano igienico sanitario, l’altro perché il progetto è carente nella protezione delle falde. Anche il Consorzio industriale, competente in materia urbanistica, segnala indici insopportabili di edificabilità nel piano di Acea Ambiente. Per di più la Pisana è ancora senza Piano rifiuti per cui non si capisce la designazione di un sito in una «una realtà lontana dai ritmi e dai fabbisogni di centri urbani densamente popolati e fortemente industrializzati come Rieti o la Capitale, delineando una cornice di difficile compatibilità con una centrale biogas di quel cabotaggio che andrebbe a impattare dannosamente sulla vivibilità e sul pregio di un’area da preservare.

A TUTTO QUESTO SI AGGIUNGONO le numerose criticità di natura urbanistica oltre all’impiego di una tecnologia come il biogas che la normativa, nella gerarchia delle 5R, identifica come “pre-residuale”, da preferire solo allo smaltimento in discarica e invece successivo a tutti i trattamenti di minor impatto, che ancora nel Lazio non sono affatto promossi né realizzati», spiega Marco Cacciatore, presidente M5s della Commissione rifiuti della Regione e firmatario di una mozione che chiede una moratoria su tutte le procedure di questo tipo fino all’approvazione del Piano.

I 4MILA CHE VIVONO IN QUELLE FRAZIONI sono terrorizzati dal «Mostro» proprio quando la vocazione del territorio per il «turismo lento» sembra poter invertire il trend dello spopolamento. Come racconta Cesare Silvi – uno dei fondatori, con Massimo Scalia, del Gruppo per la Storia dell’Energia Solare, e presidente dell’Odv Valledelsalto.it – la centrale piomberebbe sull’incrocio tra i 100 km del Cammino dei briganti, il sentiero europeo E1, 7mila km a piedi da Capo Nord a Capo Passero, e il Cammino naturale dei parchi, 430 km tra borghi e aree protette dall’Appia Antica fino alla Basilica di Collemaggio di L’Aquila. Sentieri calpestati nei secoli dai briganti e prima di loro da equi, romani, Francesco d’Assisi, l’antipapa Niccolo V, ghibellini di Corradino di Svevia, Stendhal, Margherita d’Austria e in ogni tempo dai pastori. E ora da migliaia di escursionisti.

DA PARTE SUA IL SINDACO di centrodestra Mariano Calisse (ma il suo vice è del Pd come Refrigeri, grande supporter del progetto in Regione) dice ai cronisti che «la centrale non si farà» ma la determinazione della Pisana risale a dicembre 2017, il progetto è nel bilancio consolidato di Acea dal 2015, le elezioni ci sono state nel 2018 e solo nel maggio dell’anno appresso la questione sarebbe venuta a galla. «Chi doveva sapere sapeva, sono atti protocollati sui quali c’è accesso libero, chi voleva informarsi lo sapeva. Informare era un obbligo di Acea Ambiente e non nostro», taglia corto Calisse ma, anche se i comitati hanno vinto la guerra contro il biogas, resta da capire chi s’è adoperato per portare in zona i broker dei rifiuti già dal 2014 e perché la popolazione è stata tenuta all’oscuro.