Seguire il dibattito tra gli scienziati sul Coronavirus è sempre più difficile. Virologi, microbiologi, rianimatori litigano sui social network, rilasciano interviste a televisioni e giornali, scrivono documenti e manifesti a cui si fatica a star dietro. Le informazioni che arrivano alla cittadinanza sono tante e contraddittorie tra loro e legittimano un’opinione sempre più diffusa: ascoltare gli scienziati è inutile.

GRAN PARTE DELLA CONFUSIONE è generata in realtà da un piccolo gruppo di medici italiani di varia estrazione, tutti rigorosamente maschi, che potremmo identificare come gli “ottimisti”. Sono quelli secondo cui «il virus dal punto di vista clinico non esiste più» (Alberto Zangrillo), «il virus replica meno» (Massimo Clementi), «il virus ha perso forza» (Matteo Bassetti). Sono pochi ma organizzati: si citano a vicenda nelle interviste, si scambiano like e commenti su Facebook, hanno siglato un documento comune di poche righe ma con dieci firme di scienziati importanti.

Dall’altra parte ci sono i “prudenti”, come il microbiologo Andrea Crisanti, il virologo Massimo Galli più i membri del Comitato Tecnico Scientifico (Cts) che assiste la Protezione Civile. Nemmeno loro disdegnano giornali e tv – un po’ più impacciati – ma frequentano meno i social. Anche dalla parte dei prudenti è in arrivo un documento, firmato dai vertici (tutti maschi anche loro) della Società Italiana di Malattie Infettive e Tropicali, come il presidente Marcello Tavio, il suo vice Claudio Mastroianni, il direttore scientifico Massimo Andreoni e lo stesso Galli che della società è stato presidente fino al 2019. Il loro testo, anticipato ieri dal Corriere della Sera è diametralmente opposto a quello degli “ottimisti”: «Affermare che il rischio epidemico abbia cessato di esistere non ha nessuna base scientifica, può essere causa di disorientamento e indurre una parte della popolazione a non rispettare le indicazioni di contenimento che invece devono essere mantenute».

PER I PROFANI È QUASI impossibile orientarsi tra una fazione e l’altra. È vero che i casi diminuiscono e che aumentano, in proporzione, i pazienti con pochi sintomi. Ma finora nessuno al mondo ha individuato mutazioni genetiche che spiegherebbero un indebolimento del virus, anche se gli ottimisti citano regolarmente «studi in corso di pubblicazione». Né il caldo sembra attenuare il Coronavirus, a giudicare dall’andamento dell’epidemia in Paesi come Usa, India e Brasile. Il maggior numero di pazienti asintomatici è verosimilmente l’effetto combinato del lockdown che ha interrotto il contagio e del maggior numero di test sierologici e tamponi, grazie a cui emergono casi che sarebbero rimasti nascosti. Ma solo il tempo e ulteriori studi ci aiuteranno a capire meglio un virus ancora in larga parte sconosciuto.

ALL’ESTERO GLI ESPERTI sembrano più pazienti e collaborativi. «È curioso che solo questi pochi medici ed esperti in Italia hanno osato esprimere il loro ottimismo. Non si registrano altre opinioni in questo senso, se non alcune in Spagna in cui l’andamento dell’epidemia è stato simile», sostengono i ricercatori Lluis Oviedo, Sara Lumbreras e Joaquin Fernandez- Crehuet, che hanno cercato invano conferme o smentite alle tesi degli ottimisti nella letteratura scientifica internazionale. Gli scienziati italiani, invece, non solo osano ma arrivano anche agli insulti via social. È capitato a Massimo Clementi, ottimista del San Raffaele di Milano, e a Ranieri Guerra, della fazione dei “prudenti” del Cts. «Saccente» ha detto il primo, «torni nelle fogne» la risposta del secondo.

MARCO CATTANEO, il direttore dello storico mensile di divulgazione Le Scienze ha rivolto un appello agli scienziati litigiosi: «La gratitudine che tutti vi dobbiamo non può prescindere dal decoro di un dibattito che, tra specialisti dotti e istruiti, dovrebbe rimanere entro i limiti della civiltà», ha scritto. «Altrimenti scatenerete orde di tifosi, ma non avrete reso un grande servizio a quella scienza che dite di amare e a cui avete dedicato la vostra vita».

L’APPELLO AGLI SCIENZIATI a evitare le liti via social però potrebbe cadere nel vuoto. L’immagine degli scienziati isolati nei laboratori e lontani dal chiacchiericcio mediatico è ormai sorpassata. Uno studio pubblicato pochi giorni fa sugli Annals of Thoracic Surgery (una rivista specializzata in chirurgia) dimostra che quando una ricerca scientifica viene promossa su Twitter ottiene anche un maggiore impatto scientifico in termini di citazioni da parte di altre ricerche anche a mesi di distanza. Gli scienziati hanno dunque imparato a usare i social network per promuoversi e li usano anche per informarsi. I sistemi tradizionali di valutazione usati per premiare ricerche e carriere oggi passano anche dai nuovi media e questa “mutazione genetica” è destinata a perdurare ben oltre la pandemia.