Kap l’eretico e il Baffo contro Trump. La battaglia politica e mediatica tra Colin Kaepernick, il lanciatore ex San Francisco 49ers, contro la Nfl, il campione che si è inginocchiato contro l’inno nazionale in polemica contro le violenze della polizia americana sulla comunità afro avvenute due anni fa e violentemente preso di mira dal presidente degli Stati uniti, comincia a produrre effetti. Era ed è rimasto senza una squadra dall’editto social di Trump, che aveva spinto i proprietari delle franchigie del football a metterlo alla porta, ma ora Kap, il suo soprannome, sarà uno dei volti della Nike per il trentennale dal lancio del suo slogan iconico, Just do it. La campagna della multinazionale con lo swoosh (il baffo) mostra un suo ritratto con lo slogan “Credi in qualcosa, anche se significa sacrificare tutto”, con il giocatore che ha postato lo spot con il suo volto in bianco e nero, sul profilo ufficiale Twitter. Un manifesto politico, non sgarbo al presidente o trovata pubblicitaria.

Un passo che potrebbe spingere altri pezzi grossi delle lobby americane a schierarsi contro l’inquilino della Casa Bianca. Anche se molti consumatori non hanno apprezzato, bruciando scarpe, magliette, per la scelta di sostenere Kaepernick. Ora l’ex San Francisco 49ers, che nei mesi passati si era anche conquistato una copertina su Time, tra i personaggi più influenti dell’anno, non è più solo, ha trovato un compagno-colosso, anche se in calo di vendite. Ed è solo il primo gong di un nuovo round, perché Nike è lo sponsor tecnico che inonda di dollari le società della Nfl, contro cui Kaepernick è finito a carte bollate. Nei giorni scorsi Kap ha vinto il primo atto anche in tribunale, è stato disposto un arbitrato – saranno ascoltati i patron delle franchigie e anche allenatori e atleti – per accertare l’esistenza di un complotto, di una coalizione anti Kap, non è uno dei top della lega ma messo da parte anche dalle squadre meno nobili. Mai provini, trattative fasulle, solo voci. In poche parole, gliel’hanno fatta pagare. Perché altri atleti si sono inginocchiati con lui contro l’intolleranza razziale.

E icone come Lebron James, Nba, oppure di squadre come i Golden State Warriors che si sono rifiutate di sfilare alla White House per stringere la mano al presidente dopo il titolo nazionale vinto (e lo stesso è accaduto qualche mese fa con i Philadelphia Eagles, campioni Nfl 2018) hanno sostenuto la sua missione, schiaffi mediatici a Trump e le sue esternazioni di intolleranza verso gli sportivi anti patriottici da cacciare a pedate dai campi perché contro l’inno nazionale, insulto ai militari morti per la bandiera a stelle e strisce. In una manifestazione pubblica in Alabama, lo scorso anno, The Donald disse che i proprietari delle franchigie si sarebbero dovute liberare di quel figlio di p…. dal campo, se si fosse inginocchiato durante l’inno. E Mike Pence, il suo vice, ha abbandonato una partita degli Indianapolis Colts della passata stagione, dopo aver visto alcuni atleti in ginocchio prima del via.