a bandiera irachena sventola sul quartier generale del governo a Fallujah: ieri, dopo quattro settimane di controffensiva, le truppe di élite del governo di Baghdad hanno ripreso il simbolo delle istituzioni nella città sotto assedio. La resistenza islamista, dicono fonti sul posto, è stata minima perché «i leader se ne sono andati e quelli rimasti a difendere la città non sono i loro migliori uomini».

L’Isis è consapevole di aver perso Fallujah dopo due anni e mezzo di occupazione. La caduta della città delle moschee e dei minareti, la seconda della provincia sunnita di Anbar, è vicina: «Le forze irachene hanno liberato il 70% di Fallujah, è questione di 2-3 giorni. La ripresa del compound governativo simboleggia il ripristino dell’autorità statale», ha commentato il generale al-Saadi, comandante dell’operazione. Un’autorità che ora andrà gestita con intelligenza: la popolazione sunnita è terrorizzata dalle rappresaglie delle milizie sciite che sostengono l’avanzata governativa.

Non passa giorno ormai senza che i media locali e internazionali non riportino le voci di civili torturati e detenuti dai miliziani sciiti. Oltre 600 sarebbero scomparsi nei centri di detenzione messi in piedi dalle Forze di Mobilitazione Popolare. Il governo prova a correre ai ripari: dopo aver aperto un’inchiesta in merito, il primo miliziano giudicato colpevole di aver ucciso 17 civili sunniti è stato arrestato con l’accusa di terrorismo.

Ma è una mosca bianca visto che i vertici di Baghdad tengono a sottolineare che si tratta di un incidente isolato. Così non è: molti uomini sono stati divisi dalle famiglie e portati in luoghi sconosciuti, per poi ricomparire con i segni ben noti delle torture. I leader militari sciiti si difendono, dicendo che gli arrestati sono sospetti membri dell’Isis, etichetta appiccicata in maniera indiscriminata.

Intanto i 50mila civili (secondo le stime) ancora bloccati in città stanno letteralmente morendo di fame: «Un disastro umanitario», dice il Norwegian Refugee Council (Nrc). I migliaia che invece hanno raggiunto i campi allestiti in periferia si ritrovano quasi privi di aiuti. La denuncia è di nuovo dell’Nrc che sta gestendo le strutture messe in piedi in fretta e furia dal governo iracheno: mancano cibo e acqua, mancano i medicinali per i 48mila sfollati arrivati in pochi giorni, tanti dei quali feriti.

Perché la fuga da Fallujah è scelta obbligata ma rischiosa: l’Isis ha circondato la città di cecchini, trincee, campi minati, ordigni. In molti hanno raccontato di aver pagato 100 dollari a testa a miliziani dello Stato Islamico per poter uscire salvi dalla battaglia, ma è servito a poco: le trappole dinamitarde islamiste, il fuoco incrociato e le acque dell’Eufrate hanno ucciso decine di persone.