I ministri raramente dicono la verità ma l’Oscar per la migliore bugia del mese di marzo va di diritto alla ministra delle Finanze svizzera Karin Keller-Sutter che, a proposito del salvataggio del Credit Suisse ha detto: «Non è un salvataggio, è una soluzione commerciale».

«SOLUZIONE COMMERCIALE», come no: il governo svizzero ha passato il weekend 18-19 marzo a convincere amichevolmente la banca UBS a comprarsi il Credit Suisse; tanto amichevolmente quanto può esserlo un matrimonio riparatore in cui il padre della sposa imbraccia una doppietta (shotgun marriage, nella lingua della finanza internazionale). Le trattative fra le autorità di sorveglianza e UBS non sono state facili: la Banca centrale svizzera ha dovuto fornire, come torta di nozze, una linea di credito da 100 miliardi di franchi svizzeri e, sicuramente, qualcuno deve anche aver ricordato ai dirigenti UBS che nei loro armadi (pardon: cassette di sicurezza) c’erano scheletri a sufficienza per rovinare la reputazione e magari anche le loro pensioni, se si fossero dimostrati troppo testardi.

Keller-Sutter si è lasciata sfuggire una parte della verità aggiungendo, subito dopo: «Gli Stati Uniti e il Regno Unito sono stati molto grati per questa soluzione… temevano davvero il fallimento del Credit Suisse». In effetti, la ministra del Tesoro americano Janet Yellen ha già il suo bel daffare con le banche americane che barcollano: dopo la Silicon Valley Bank c’è una lunga lista di altri istituti che potrebbero andare a gambe all’aria nei prossimi mesi a causa dell’aumento dei tassi praticato dalla Federal Reserve. Il Financial Times, che può permettersi di pubblicare anche le verità scomode, ha pubblicato nei giorni scorsi un grafico intitolato: «Questa è già una brutta crisi bancaria ma non è ancora grave come quella del 2008». Consolante, davvero.

QUELLO CHE NON APPARE CHIARO nel ping pong delle notizie quotidiane sono due cose. Primo: oggi l’insolvenza di molte banche non è un fenomeno occasionale ma strutturale. Secondo, nell’era del capitalismo-casinò i salvataggi delle banche sono la moderna tassa sul macinato: qualcosa che molti devono pagare perché pochi continuino ad arricchirsi.

C’è stata un’epoca felice in cui banchieri di New York operavano secondo una semplice regola: 3-6-3, ovvero: prendere a prestito il denaro al 3%, dare in prestito il denaro al 6% e alle 3 del pomeriggio andarsene a giocare a golf. Oggi è tutto più complicato. Per esempio, una recente analisi di esperti veri (non quelli che vanno in televisione) sintetizzava in questo modo la situazione: «Il valore di mercato degli attivi del sistema bancario statunitense è inferiore di 2.000 miliardi di dollari rispetto al loro valore contabile» (Jiang e altri, 24 marzo).

Senza addentrarci troppo nel labirinto della finanza impazzita, limitiamoci riassumere la situazione in questo modo: le banche devono avere un capitale; questo capitale può essere composto di varie cose, tra cui obbligazioni a lungo termine che danno un certo rendimento. Se queste obbligazioni vengono tenute fino alla scadenza (held to maturity) tutto va bene, ma può capitare invece che si debbano vendere perché c’è una crisi di liquidità (ovvero i clienti stanno portando via i loro soldi con un paio di click sull’app nel telefonino).

IN QUESTO CASO SONO GUAI perché il valore di mercato delle suddette obbligazioni non è più 100 ma 90, o magari 80. Si chiamano unrecognized losses, perdite non riconosciute, ovvero nascoste nelle pieghe dei bilanci. Sempre secondo Jiang e i suoi colleghi, il 10% delle banche americane ha perdite non riconosciute superiori a quelle della Silicon Valley Bank fallita recentemente.

Traduzione: il sistema bancario degli Stati Uniti è una polveriera e tutti fumano allegramente, gettando i mozziconi accesi sui barili di esplosivo.

Qui entra in gioco una meritoria invenzione dell’amministrazione Roosevelt negli anni Trenta del ‘900, la Fdic, ovvero la Federal Deposits Insurance Corporation, creata nel 1933. La Fdic fu creata per tutelare i piccoli risparmiatori, garantendo i loro depositi fino a $ 2.500, in modo da ristabilire la necessaria fiducia nelle banche durante la Grande depressione.

DUEMILACINQUECENTO DOLLARI del 1933 corrispondono a 57.850 dollari di oggi, i risparmi di una famiglia solida ma non certo ricca. Come mai, allora, la Fdic assicura i depositi assai più generosamente, fino a 250.000 dollari? Beh, i lobbisti sono passati di là e il Congresso ha aumentato più volte il tetto dell’assicurazione sui depositi.

Oggi, però, la logica della Fdic è stata completamente rovesciata: Janet Yellen ha dichiarato che saranno garantiti i depositi dei correntisti della Silicon Valley Bank anche oltre il massimale previsto dalla legge. Il che, d’altronde, è quello che è stato fatto decine di volte con le banche Too Big to Fail, ovvero che presentavano un «rischio sistemico» per l’intero settore finanziario.

In questo modo, però, il rischio d’impresa delle banche viene interamente trasferito sul governo, cioè sui contribuenti. Un incentivo mica da poco per le banche che vogliono lanciarsi in avventure finanziarie simili alla speculazione sui bulbi di tulipano in Olanda nel 1637 o a quella del commercio di schiavi attraverso la South Sea Company a Londra nel 1720 (per chi volesse approfondire, è sempre disponibile il classico studio di Charles Kindleberger Manias, Panics and Crashes).

PERCHÉ RINUNCIARE a proporre obbligazioni sulle future miniere di platino su Giove, se il governo garantisce? Al casinò il banco vince sempre e nel capitalismo-casinò la banca vince sempre.

Naturalmente, la condizione perché questo avvenga è che i governi siano solvibili e questo può avvenire soltanto se possono tassare i loro sudditi, o indebitarsi, senza troppi problemi (nel lungo periodo le due cose sono equivalenti: per pagare i debiti occorrerà imporre nuove tasse o fare default).

Da decenni, i ricchi le tasse non le pagano: la controrivoluzione fiscale avviata da Ronald Reagan nel 1980 ha dato i suoi frutti in tutto il mondo, anche in Italia. Quindi il costo dei salvataggi bancari sarà pagato, prima o poi, dalle tasse dei contribuenti a reddito medio-basso, sia a Lugano che in Kansas o in Basilicata.

IN ALTRI TERMINI, LE GARANZIE illimitate fornite dai governi alle banche sono il moderno equivalente della tassa sul macinato: uno strumento fiscale che ruba ai poveri per dare ai ricchi. Nel caso italiano la tassa fu istituita il 7 luglio 1868 dal governo di destra di Luigi Menabrea ed entrò in vigore il 1° gennaio del 1869. Si trattava di un balzello che colpiva i contadini, quindi con una vastissima base imponibile (l’80% della popolazione era impegnato in agricoltura) il che era esattamente ciò che il governo cercava.

Oggi i contadini sono pochissimi ma la finanza creativa, invece, raggiunge tutti e il debito pubblico pure. Procediamo allegramente di crisi bancaria in crisi bancaria, fingendo che siano eventi imprevedibili e isolati, come l’eruzione del vulcano Krakatoa o la caduta di un meteorite in Siberia. È vero il contrario: le crisi bancarie fanno parte del paradigma di funzionamento del capitalismo attuale.