Dopo l’Ilva di Taranto, la Banca Popolare di Bari. Un’altra grana pugliese è scoppiata sotto il tavolo traballante del governo giallorosso sotto il quale si agitano gli spiriti di una crisi strisciante che promette una settimana di fuoco mentre si approva la legge di bilancio al Senato. La storia: venerdì è stato convocato un consiglio dei ministri last-minute. In discussione c’erano alcune misure urgenti per la realizzazione di una «banca di investimento», in realtà si trattava del salvataggio della banca. Solo poche ore prima la convocazione d’urgenza il presidente del Consiglio Giuseppe Conte aveva escluso interventi di salvataggio spiegando che «al momento non c’è nessuna necessità di intervenire con nessuna banca».

Ieri mattina invece ha annunciato la volontà di creare «una sorta di Banca del Sud degli investimenti a partecipazione pubblica» a partire dalla Popolare di Bari. Si sta pensando a un decreto, da adottare con un Consiglio dei ministri nelle prossime ore (forse), con uno stanziamento di un miliardo, la metà da destinare al Mediocredito centrale controllato da Invitalia. Quest’ultima dovrebbe partecipare al rilancio della Banca popolare di Bari insieme al Fondo interbancario di tutela dei depositi (Fitd). «Una cosa è certa – ha detto Conte – L’intervento pubblico non sarà a favore dei banchieri».

IL REPENTINO cambio di prospettiva è stato spiegato da Conte in questi termini: sono stato «omissivo» nella prima dichiarazione «per non creare allarme con i mercato aperti e per il segreto d’ufficio». Conte si è detto a conoscenza del commissariamento disposto da Bankitalia e si è «scusato». Questa condotta sembra invece avere creato panico e dissidi nella sua maggioranza. Lo ha fatto notare la ministro delle politiche agricole Teresa Bellanova che venerdì stava andando in Puglia dicendosi rassicurata dalle dichiarazioni di Conte, mentre invece è stata richiamata a Roma per partecipare a un consiglio dei ministri che doveva intervenire su una situazione opposta. Nelle agitate ore notturne alcune fonti di governo hanno fatto sapere che sia i renziani che i Cinque Stelle sapevano, si erano tenute varie riunioni. E c’è anche chi sostiene che il provvedimento avrebbe dovuto essere adottato due settimane fa.

«Non ho capito perché Italia Viva ha fatto saltare il Cdm. Tocca darsi una calmata» ha detto Nicola Fratoianni (LeU). «Non si può scherzare con il fuoco» ha aggiunto il ministro della Salute Roberto Speranza (LeU). Dal Pd fanno sapere che i renziani fanno «propaganda» e che « la responsabilità ha un limite». Un avvertimento da parte di chi è rimasto con il cerino in mano. «Con Italia Viva abbiamo chiarito – ha detto Conte – Siamo un po’ vivaci ma responsabili. Le banche sono un nervo scoperto, è un tema divisivo».

COSÌ «DIVISIVO» che i Cinque Stelle hanno pensato di rallentare il decreto già dato per certo. «Non corriamo. Prima bisogna fare chiarezza» ha detto Luigi Di Maio assente i venerdì. Di parere diverso è il ministro per gli affari regionali Francesco Boccia (Pd e pugliese): «La posizione del ministro dell’economia Gualtieri è condivisa, l’ipotesi di un ingresso di Mediocredito centrale per rilanciare la banca è condivisibile». Di Maio, invece, è partito all’attacco di Bankitalia sui controlli: «Il buco non lo ha creato un alieno». E ha rilanciato la commissione banche. «Sono sicuro che aprirà un vaso di Pandora. E non vediamo l’ora». Allusione che ha irritato i renziani: «Ci hanno insultato come amici delle banche e oggi mettono soldi del contribuente per una banca e ci accusano di irresponsabilità perché vogliamo studiare il decreto» sostengono Bellanova e Ettore Rosato. Salvini, in campagna elettorale, sarà oggi alla fiera del Levante di Bari in un’iniziativa contro il governatore pugliese Michele Emiliano. Il leghista ha proposto anche un «comitato di salvezza nazionale» alle altre forze politiche. «Se salta la popolare di Bari salta la Puglia». Il «vaso di Pandora» è stato già aperto e gli spiriti giallorossi ballano vivaci sulla crisi di governo.

CON 17 MILIARDI di fatturato, sette miliardi nei conti correnti ripartiti tra 69.092 persone (nel 2018) e il 70% delle sua rete di filali concentrate al Sud, la Banca Popolare di Bari fondata nel 1960 dalla famiglia Jacopini è quello che Veneto Banca e la Popolare di Vicenza erano per il Veneto, o quello che Carige è per la Liguria: uno dei riferimenti per le imprese del territorio, e non solo. La Banca d’Italia ha sciolto gli organi con funzioni di amministrazione e controllo della banca e ha nominato Enrico Ajello e Antonio Blandini commissari straordinari. Nel capoluogo pugliese ieri è avvenuto un primo «incontro tecnico» con la dirigenza uscente della banca. La procura di Bari ha aperto due fascicoli che si aggiungo ad almeno altre cinque indagini in corso sulla gestione dell’istituto di credito. Il primo, senza indagati né ipotesi di reato, è seguito all’esposto della Consob che ha lamentato il mancato invio delle informazioni sulla situazione dei conti.

Il secondo è stato aperto a seguito di un esposto presentato il 15 novembre scorso da un azionista che riguarderebbe gli aumenti di capitale del 2014 e del 2015. Il riferimento è anche alla vicenda Tercas, già al centro di un’altra inchiesta in cui sono indagate dieci persone, tra le quali l’amministratore delegato Vincenzo De Bustis e l’ex presidente Marco Jacobini. Le indagini riguardano anche i crediti deteriorati e inesigibili che avrebbero causato le principali perdite.

SONO DUE MILIARDI di crediti deteriorati lordi in discussione, oltre il 20% degli impieghi, una somma più che doppia rispetto alla media del sistema bancario italiano. L’ultima svalutazione importante di questi crediti risale al 2018 ed è costata 245 milioni. Nello stesso anno è stata registrata una perdita per oltre 400 milioni. La situazione è precipitata nella semestrale del giugno scorso quando la banca ha presentato coefficienti di vigilanza inferiori alle soglie minime previste (Tier 1 capital ratio 9,453%, total capital ratio 11,771%). Ai correntisti sono stati mandati messaggi rassicuranti; non dovrebbero esserci conseguenze per loro.

MENO TRANQUILLI sono gli azionisti e gli obbligazionisti perché rischiano di fare la fine di quelli del Monte dei Paschi di Siena o di quelli di Banca Marche, CariChieti, CariFerrara e Banca Etruria. In circolazione ci sono infatti tre bond subordinati: uno vale 6 milioni e scade il 27 novembre 2020; un altro 15 milioni di euro e scade nel 2025; il terzo è di oltre 213 milioni, paga una cedola del 6,5% e scade a dicembre 2021. Sono in migliaia ad averli sottoscritti. Sarebbero strumenti difficilmente rimborsabili in caso di default. Siti, il sindacato italiano per la tutela dell’investimento e del risparmio di Milano, sostiene di avere avviato un’iniziativa a favore degli azionisti e degli obbligazionisti» per il risarcimento del danno subito. Nella crisi potrebbero essere colpiti anche i lavoratori. De Bustis ha parlato di un maxi-taglio del personale: degli attuali 2.707 dipendenti potrebbero restare in ottocento.