La bacchetta di Muti è Praemium Imperiale
Omaggi Tra i riconoscimenti nelle altre arti, il pittore «Cobra» Pierre Alechinsky, le sculture di nebbia di Fujiko Nakaja, gli isolati aperti dell'architetto Christian de Portzamparc e la presenza sullo schermo di Catherine Deneuve
Omaggi Tra i riconoscimenti nelle altre arti, il pittore «Cobra» Pierre Alechinsky, le sculture di nebbia di Fujiko Nakaja, gli isolati aperti dell'architetto Christian de Portzamparc e la presenza sullo schermo di Catherine Deneuve
La nebbia che protegge il sorgere dei ricordi nelle sculture impermanenti di Fujiko Nakaja, le sperimentazioni calligrafiche e espressioniste del belga-francese Pierre Alechinsky (un «Cobra», oggi novantenne attivissimo pittore), gli «isolati aperti» che intersecano la vita dell’architetto Christian de Portzamparc, la presenza nel cinema di un’attrice come Catherine Deneuve che esplose sullo schermo con Bella di giorno di Buñuel. E la bacchetta magica di Riccardo Muti, ambasciatore della musica nel mondo che riceve – come gli altri – il Praemium Imperiale, riconoscimento d’eccellenza in cinque discipline della creatività (115mila euro il budget per i vincitori), conferito dalla Japan Art Association e giunto alla sua trentesima edizione. Un omaggio a personalità che si sono distinte con le loro carriere coerenti, mai interrotte nel corso del tempo né smarritesi all’inseguimento di mode, come ha sottolineato il consigliere internazionale Lamberto Dini.
C’è anche una borsa di studio per Giovani Artisti: è andata alla Shakesperare Schools Foundation, impegnata nella trasmissione dell’amore per la lingua e il teatro del Bardo ai più piccoli. Un premio al difficile compito di chi educa alla passione e instilla nelle nuove generazioni il germe della cultura e della storia. Ed è così che anche il direttore d’orchestra Riccardo Muti, in diretta skype da Firenze, dato il suo coinvolgimento con il Maggio e i festeggiamenti per i 50 anni dal suo debutto su quel palco (alle prese, come allora, con il verdiano Macbeth), intende il suo mestiere: «Si riparte ogni giorno, cercando verità che nessuno possiede, nel testo musicale come nella vita».
Un’esistenza consacrata all’arte la sua, che vede proprio il Giappone fra i paesi d’elezione, con eterni ritorni, anche perché è in Oriente che l’opera italiana è particolarmente apprezzata. Ma il problema è in casa nostra, è nei percorsi educativi, scuola in primis. Muti, però, appare fiducioso. «Ritengo che la musica non abbia ostacoli sul suo cammino – afferma – Da anni la porto anche nelle carceri, ultimamente tra le detenute di Chicago (il maestro dirige la Chicago Symphony, ndr). Testi e suoni sono penetrati dolcemente. Le ho viste addentrarsi in un percorso prima oscuro, che si è illuminato davanti Shakespeare e Verdi. Il vero scoglio è la scuola. Da cinquant’anni combatto affinché venga insegnato ai ragazzi non a intonare Fratelli d’Italia, ma a muoversi nella foresta dei suoni».
Il maestro è anche alla guida dell’Italian Opera Academy e il suo ottimismo è confortato dai fatti . «Abbiamo ricevuto più di 200 domande da parte di giovani direttori d’orchestra. A loro insegniamo come è costruita un’opera italiana, per nulla inferiore al repertorio tedesco o austriaco. Come dicevano i Romani, con elementi semplici si costruiscono grandi cose». Infine, spazio alle donne nel mondo tradizionalmente maschile dei direttori d’orchestra. Non più solo interpreti, oggi molte salgono sul podio. «A me piace che rimangano loro stesse, senza travestirsi da uomini – conclude Muti – Vanno dritte al segno, evitando quel saltellare circense che oggi si vede in molti loro colleghi».
I consigli di mema
Gli articoli dall'Archivio per approfondire questo argomento