L’8 marzo è una giornata emblematica per il femminismo guatemalteco e latinoamericano, l’estremo punto di scontro tra la vita e la morte, tra il disciplinamento violento dei corpi e la ribellione alle norme oppressive del patriarcato. Da una parte il movimento delle donne che rivendica il diritto a una vita degna, all’autonomia delle proprie scelte in campo riproduttivo e ricorda le donne che hanno lottato per i propri diritti; dall’altra la storica repressione che violenta, uccide, criminalizza e opprime le donne che violano la norma patriarcale.

«Mentre stavamo denunciando la violenza patriarcale e difendendo la nostra memoria storica ci hanno informato che 41 bambine erano state bruciate nella casa di accoglienza statale Hogar Seguro Virgen de la Asunción», ricorda Lolita Chavez, rappresentante del Congresso dei Popoli Maya Ki’ches e femminista comunitaria, costretta all’esilio per il suo impegno militante nel contrastare le violenze e la corruzione generate dalle multinazionali europee in Guatemala, «stavamo ricordando Berta Cáceres (attivista indigena Lenca assassinata il 2 marzo del 2016) quando siamo state informate».

L’8 MARZO DEL 2017 a San José Pinula, nei dintorni di Città del Guatemala, 56 ragazze tra i tredici e i diciassette anni, dopo aver guidato una rivolta e tentato la fuga dall’Hogar Seguro Virgen de la Asunción sono state fermate dalla polizia e rinchiuse in un padiglione della struttura. Per ore sono rimaste stipate in condizioni disumane fino a quando non è scaturito l’incendio che ha bruciato i loro corpi e tolto loro il respiro, 41 sono decedute e 15 sono sopravvissute con traumi fisici e psicosociali permanenti.

Le ragioni della fuga sono da ricercarsi nelle condizioni in cui versava l’Istituto e nelle sistematiche violenze subite dalle adolescenti nella casa di accoglienza statale che avrebbe dovuto proteggerle e garantir loro una formazione. «Per noi queste bambine sono defensoras, perché avevano già denunciato la violenza e l’insicurezza che stavano vivendo nell’Hogar Seguro Virgen de la Asunción», rimarca Lolita Chávez.

Sono dello stesso parere le organizzazioni sociali in difesa dei diritti umani e i movimenti femministi che denunciano il femminicidio collettivo operato dallo Stato ai danni di bambine e adolescenti che stavano denunciando una situazione di abuso ripetuto e sistematico.

LE RICHIESTE DI GIUSTIZIA per le 56 ragazze coinvolte nell’incendio del Hogar Seguro, le cui responsabilità ricadono su funzionari dello Stato e delle forze dell’ordine, si sommano alla gravissima situazione del Paese in relazione alla violenza di genere e ai femminicidi: solo nel mese di gennaio del 2021 sono state assassinate 68 donne.

Il 17 di febbraio di quest’anno le adolescenti ospiti di una casa di accoglienza del Centro di Città del Guatemala, l’Hogar Seguro Zafiro I, si sono ribellate alle condizioni di trascuratezza dell’Istituto e alla lentezza del sistema giudiziario che rende difficoltoso il loro ritorno in famiglia. Una decina di loro sono salite sul tetto della struttura, denunciando la mala amministrazione della casa e rilasciando dichiarazioni ai giornalisti fino all’arrivo del di rappresentanti del governo, per poi fuggire con l’aiuto del vicinato.

L’IMPUNITÀ DEI RESPONSABILI del massacro dell’Hogar Seguro, oltre a rivittimizzare le 56 adolescenti e loro famiglie, finisce per avallare un sistema che considera le adolescenti rinchiuse in queste strutture pericolose criminali che meritano un trattamento violento e disumano per le colpe che lo Stato attribuisce loro (povertà, problematiche familiari, marginalità, comportamenti a rischio, condotte devianti, ecc). Le defensoras urbane e comunitarie, che hanno trasformato Plaza de la Constitución, la principale di Città del Guatemala, in Plaza de las Niñas (la piazza delle bambine), dove mantengono viva la loro memoria e sanano collettivamente le conseguenze della violenza di genere, sono costrette a subire continue minacce dalla polizia presidenziale e vengono additate come streghe.
A febbraio María Elizabeth Ramírez, madre di una delle 41 ragazze morte nell’incendio, è stata assassinata, a dimostrazione che i femminicidi rappresentano una catena di violenza strutturale nel Paese: da ormai quattro anni María cercava giustizia per sua figlia denunciando gli abusi delle autorità.

QUEST’ANNO, NONOSTANTE le difficoltà legate agli spostamenti e all’incremento del rischio politico delle attiviste, il Coordinamento Femminista per l’8 marzo, composto da differenti organizzazioni della società civile, ha convocato una due giorni di iniziative per commemorare la memoria della lotta antipatriarcale.

Il 7 marzo la Caravana Vivas nos Queremos si snoderà simbolicamente tra le strade della Capitale, unendo la Corte Suprema di Giustizia e la Plaza de las Niñas, dove le famiglie delle adolescenti assassinate nel rogo dell’Hogar Seguro convocheranno una cerimonia maya per ricordare la memoria delle proprie figlie.

L’8 marzo si svolgerà un atto politico e commemorativo di fronte alla struttura dell’Hogar Seguro Virgen de la Asunción a San José Pinula, una marcia per le vie della città che raggiungerà la Plaza de las Ninas e un atto pubblico di sensibilizzazione contro la violenza di genere. «Ricordare la lotta delle adolescenti dell’Hogar Seguro significa portare avanti un processo etico alla giustizia patriarcale, razzista, coloniale e capitalista», sostiene Lolita Chavez e invita i femminismi dei quattro punti cardinali a unirsi in un sol coro, «femminismi plurinazionali, plurali, comunitari, neri, contadini, villeros, trans, travestiti, piqueteros, bisessuali, non binari, vi chiediamo di non stare in silenzio, di essere voi la voce».