La scorsa settimana era solo un’ipotesi, ore è un dato di fatto con cui l’amministrazione Trump deve confrontarsi: Jared Kushner, marito di Ivanka e il più potente dei consiglieri del presidente americano, è indagato per le interferenze russe durante la campagna elettorale del 2016; è lui la «persona d’interesse» a cui si riferiva l’Fbi e sulla cui identità si specula da giorni.

La scorsa settimana era stato il Washington Post a rivelare che per la prima volta l’indagine sul Russiagate era arrivata all’interno della Casa Bianca, l’identità non era stata resa nota ma a circolare era stato il nome di Jared Kushner.

Ora lo scoop è nuovamente del Washington Post, che evidentemente sta investigando su questo filone di indagini, e della rete televisiva NbcNews; entrambi concordano che al momento Kushner è considerato dall’Fbi «persona in possesso di informazioni rilevanti» ma che non è incriminato e la sua posizione nel Russiagate non è grave come quelle dell’ex direttore della campagna elettorale di Trump, Paul Manafort, o dell’ex consigliere per la sicurezza nazionale, Michael Flynn, i quali invece rischiano di essere incriminati per piú reati, inclusi quelli finanziari.

Nella tarda serata italiana, però, sempre il Washington Post pubblica numerosi dettagli sulle attività di Kushner e alti funzionari russi. In particolare, la richiesta di un canale segreto per comunicare tramite strutture diplomatiche di Mosca e un incontro tra l’1 e il 2 dicembre alla Trump Tower.

Secondo un altro media molto attivo, il New York Times, l’intelligence sapeva dalla scorsa estate che dei dirigenti russi studiavano il modo di influenzare Trump attraverso Paul Manafort e Michael Flynn, che si è detto pronto a ricorrere al 5° emendamento della Costituzione che permette di non autoincriminarsi, pur di non deporre in Commissione.

Anche se Kushner non è incriminato, la notizia dell’indagine per Trump è comunque una gran brutta notizia. I federali al momento indagano, nello specifico, sugli incontri di Kushner con amici stretti di Putin e funzionari russi di spicco, con particolare attenzione per la serie di incontri avvenuti dopo l’elezione, a dicembre 2016, con Sergey Kislyak, l’ambasciatore russo negli Usa, e con un banchiere di Mosca.

Raggiunto dalla notizia dell’indagine Jared Kushner è tornato con Ivanka Trump negli Usa, saltando il G7 di Taormina che Trump deve gestire senza l’appoggio del genero, rivelatosi fondamentale nella visita in Arabia Saudita e Israele.

Non ci sono state dichiarazioni personali da parte del genero di Trump, ma uno dei suoi avvocati ha detto proprio al Washington Post che Kushner «si era già offerto volontariamente di rivelare al Congresso tutto quello che sa su questi incontri» e che non cambierà posizione «se chiamato in relazione a qualsiasi altra inchiesta».

L’amministrazione Trump al momento è trincerata nel silenzio ma è evidente che le indagini procedono a ritmo serrato e Robert Mueller, procuratore speciale ed ex direttore Fbi (con Bush e Obama) che segue il caso, non si fermerà spontaneamente davanti la porta della Casa bianca.

Nel frattempo il repubblicano Jason Chaffetz, presidente della commissione vigilanza della Camera, dove è in corso un altro filone dell’inchiesta sui contatti con i russi), ha chiesto all’Fbi di produrre documenti riguardanti i contatti di James Conmey, ex direttore dell’Fbi con il dipartimento di Giustizia e con la Casa Bianca, includendo documenti che risalgono all’amministrazione Obama, fino al 2013.

Sembra che per il 1° giugno sia stata fissata l’audizione dell’ex direttore di Comey, che era stato invitato a testimoniare al Congresso, ma l’udienza è stata rinviata perché lo stesso Comey ha voluto sentire prima Robert Mueller.