Di Mariuccia Mandelli, in arte Krizia come il titolo di un dialogo incompiuto e abbastanza sconosciuto di Platone, si possono ricordare molti episodi eccentrici, a partire dai suoi esordi. E anche dal mistero della sua età reale, perfino oggi che la celebrazione della sua scomparsa avviene ufficialmente a 91 anni da compiere a gennaio.

Né sarta, non couturier e neanche designer, con la sua pettinatura di capelli neri a caschetto, immutabile nel tempo e nelle mode e quindi anche nel colore, Krizia è stata segnata più dal suo carattere da pioniera che dalla sua attitudine di progettista. Sicché la sua eredità nella moda appartiene più alle invenzioni intuitive che a un reale programma estetico.
La leggenda, un’amplificazione della realtà che si perde nell’epoca della ricostruzione post bellica, la vuole maestra neodiplomata che a bordo di una Lambretta gira i negozi della Lombardia per vendere la maglieria che intuitivamente aveva capito essere l’indumento principale per costruire un modo di vestire moderno ma non dispendioso. Dalle maglie al pensare a una linea di abbigliamento il passo è breve, soprattutto perché con altri della sua generazione, i Missoni in particolare, vive il fermento della nascita di un fenomeno allora strano, cioè l’invenzione di un qualcosa che si chiamerà Moda Italiana.

Così, quel nome apparentemente esotico di Krizia lo si trova tra i primi a sfilare nella Sala Bianca di Palazzo Pitti a Firenze, incubatrice di quello che sarà il fenomeno del Made in Italy della moda che, per scoppiare così come è adesso, deve aspettare gli inizi degli Anni 80.
Nata a Bergamo, già nel 1957 presenta una collezione di abiti in una fiera del settore, il SAMIA, antenato delle fiere di moda, e da lì la si trova a Milano, in società con Flora Dolci.

Così quando arriva a Firenze per le sfilate a Palazzo Pitti nei primissimi Anni ’70 ha già una reputazione di innovatrice. In realtà, la sua innovazione si rivolge soprattutto alla maglieria, che trasforma in un racconto illustrato da pop art. La tigre e altri animali acquistano una funzione iconica fino a diventare un marchio del suo stile. E fino a farne l’espressione un po’ eccentrica della moda formale di quegli anni, tanto che la stampa americana la battezza Crazy Krizia, in un gioco di parole che, nella banalizzazione del linguaggio americano, esprime però un concetto: la Mandelli non è addomesticabile.

Dalla maglieria ad altre intuizioni, fino a fare un’incursione rivoluzionaria nel mondo della plissettatura, trasformando una tecnica classica della couture francese in uno strumento per rinnovare la forma e il volume degli abiti. Ne è testimone il famoso «abito garofano», che poi darà l’idea del Pleats Pleae al designer giapponese Issey Miyake. E qui siamo a metà degli Anni 80 e Krizia fa ormai parte dei «magnifici sette» con Giorgio Armani, Gianni Versace, Valentino e altri, che nel 1986 saranno nominati Cavalieri della Repubblica, primo riconoscimento delle istituzioni statali a un settore che si stava affermando anche come industria trainante dell’economia nazionale.

Ma la sua maggiore cifra è il carattere irascibile e testardo che l’ha portata prima a uscire con decisione dal rapporto con il partito socialista milanese e dagli incidenti di Tangentopoli e poi a rifiutare qualsiasi collaborazione con i designer che avrebbero portato dare un futuro al suo marchio, da Alber Elbaz, che si racconta scacciò dal suo studio a lanci di portacenere di cristallo, a Giambattista Valli. E così ora, lascia il suo marchio affidato a una proprietà cinese, il gruppo Shenzhen Marisfrolg Fashion.