È un lavoro in cui si sente la voglia di provocare, ma non per vezzo di superficie. Riversa in una scena dove l’alto e il basso si confondono senza vergogna tra un water posto al centro dello spazio teatrale, una copia distesa a terra del Cristo del Mantegna e una bicicletta di fine Ottocento, una disincantata riflessione per brandelli sul nostro tempo confuso a partire dal soggetto che dà il nome allo spettacolo: Kristo (quadri di dubbia saggezza).

A FIRMARLO è Roberto Zappalà, coreografo catanese, qui autore di regia e linguaggi del corpo, testi a cura di Nello Calabrò: ha visto il debutto in prima assoluta al festival MilanOltre, al Teatro Elfo Puccini. Prodotto da Scenario Pubblico, struttura fondata vent’anni fa a Catania da Zappalà, con lo Stabile di Catania, dove verrà ripreso dal 9 al 18 dicembre, e in collaborazione con MilanOltre, Kristo è un ruvido one man show, affidato da Zappalà al performer, attore e danzatore Massimo Trombetta, in alternanza nelle future repliche con Salvatore Romania.
Un Cristo che i 2022 anni di vita hanno ormai trasformato in un uomo come tanti, che tira avanti tra impulsi di ribellione e accasciamenti su se stesso, un uomo che non sa nemmeno più se è Cristo o se gioca ad esserlo quando lascia che il suo corpo prenda la forma della croce o quando, dopo una doccia, sembra totalmente ricoperto di sangue: prova di sacralità o problema di tubature? D’altronde tutto è sempre in bilico dal sacro al pop, senza timore del trash. Kristo è non a caso contornato da dodici figure femminili, dodici come gli apostoli, ma presenti, silenti e iconiche, come sfondo e riflesso delle più trite fantasie maschiliste (eppure tragicamente non estirpate dal sociale): gruppo di suore in preghiera, pronte a tirar fuori un frustino e a rivelarsi con un rapido cambio di costume discinte figure adescatrici in tacco alto.

TROMBETTA ha grande credibilità nel ruolo: parole e linguaggio del corpo sono in lui tutt’uno, un movimento il cui registro passa dall’aulico all’essere anima del volgo, un movimento di cui la parola è frutto: Calabrò ha composto un testo articolato tra frammenti che vanno da Kundera a Hemingway e Strindberg, da Sciascia allo scienziato Richard Feynman alla scrittrice polacca Olga Tokarczuk. Un racconto slabbrato di un povero cristo che porta in scena il disorientamento quotidiano.