Si impara appena entrati nella facoltà di giurisprudenza che la verità e diritto non sono sinonimi, che il giudice ricerca la verità processuale e non la verità storica. Nel thriller giudiziario Sandome no Satsujin (il terzo omicidio) di Hirokazu Kore-eda in concorso, bisogna ricordare che in Giappone il diritto romano fu solo parzialmente adattato alla tradizione locale insieme ad altre novità sulle arti e la guerra, secondo una tendenza iniziata nell’800, e che nel processo penale il sistema è accusatorio e non garantista. Quindi questo thriller legale a volte può lasciarci all’inizio un po’ spaesati nel suo procedere e portarci piuttosto all’ombra di Rashomon, ma subito dopo ci affascina per il suo impeccabile stile e la decisa tensione umanista. Il regista di Little Sister e dell’ultimo ancora in sala Ritratto di famiglia con tempesta mette in scena un delitto efferato, l’uccisione di un uomo il cui cadavere viene poi dato alle fiamme. Lo vediamo bene in faccia, ma poco alla volta di fronte al suo avvocato emergeranno diverse successive versioni a cui trovare soluzioni legali tali da fargli evitare la pena di morte. Già trenta anni prima Misumi era stato condannato per omicidio e aveva evitato l’impiccagione grazie al padre dell’avvocato che ora ha preso l’incarico di difenderlo.

Se non bastasse il labirinto legale, i diversi racconti di come sono andati i fatti, coperti da una reticenza continua, si rivelano allo spettatore come se il passaggio tra vita e morte fosse già stato superato, come se l’obiettivo sia la difesa di un principio più che di una persona. All’omicidio potrebbero aggiungersi, il caso di licenziamento, di adulterio, truffa alle assicurazioni, una losca storia di incesto neanche sussurrata dalla angelica figlia della vittima (Hiroshe Suzu, interprete di Little Sister). Certo è originale l’idea di fare un thriller giudiziario nel paese a più basso tasso di criminalità (dove il reato più comune è il furto di biciclette).

Qui il pubblico giapponese può emozionarsi in particolare alla vista dell’avvocato interpretato da una vera star della musica, il cantautore Hasamaru Fukuyama (21 milioni di dischi venduti) mentre l’accusato è il celebre Koji Yakusho, interprete preferito di Kiyoshi Kurosawa, ma anche di Imamura e Ichikawa. Ma anche il pubblico internazionale amerà questo film di quello che è considerato l’erede di Ozu per la sua attenzione all’essere umano e ai rapporti familiari, ai temi di riconciliazione e perdono, con i suoi racconti senza artifici visivi, complessi nell’impostazione tematica, forse il nome più interessante del cinema giapponese contemporaneo.

Il tema della verità così alieno dal sistema giudiziario viene qui sviscerato in tutte le sue sfumature, in tutte le possibilità. Un tema indagato non per trovare una linea di difesa, ma per conoscere in profondità le piaghe dell’animo umano. Giorno dopo giorno nel parlatorio asettico dove avvengono le visite i profili dell’avvocato e dell’accusato si avvicinano nel riflesso del vetro come a indicare una empatia totale e la volontà di trovare oltre che una soluzione giuridica soprattutto una via d’uscita morale. Con lieve attenzione introduce in un racconto tanto complesso gli altri personaggi di cui si suggeriscono appena i profili, tanto da far sembrare più presenti quelli che non appaiono in scena e i racconti del passato più concreti delle mura della prigione.