Primo nero africano a ricoprire la carica di segretario generale dell’Onu dal 1997 al 2006, premio Nobel per la pace nel 2001, il ghanese Kofi Annan, morto ieri a 80 anni a Berna, ha qualche merito per essere ricordato.

Soprattutto è rilevante la sua opposizione all’invasione americana dell’Iraq nel 2003, probabilmente il maggiore disastro della politica mondiale degli ultimi decenni, tenendo conto che l’Afghanistan, dove gli Usa sono impegnati da 17 anni, da qualche secolo è la tomba degli imperi e quindi quasi fuori classifica. Il suo decennio alle Nazioni Unite coincide con la seconda parte delle guerre dei Balcani dopo l’illusoria pace di Dayton nel 1995.

E poi il Kosovo nel 1999, la guerra al terrorismo dopo l’attentato alle Due Torri nel 2001 e appunto l’Iraq nel 2003. Il suo scontro con l’America di George Bush jr alla vigilia della guerra in Iraq è entrato nei libri di storia, come pure lo scandalo oil for food che lo colpì personalmente nel 2004 quando era ancora segretario generale: dietro l’intento umanitario del programma Onu, nato nel 1995 per alleviare le sofferenze del popolo iracheno, ci fu spazio per corruzione e tangenti che coinvolsero anche il figlio di Annan, Kojo. Alle richieste di dimissioni da parte del governo americano, Annan rispose seccamente: «Andate al Diavolo». La sua reazione era comprensibile. Gli americani volevano la sua testa.

«La guerra americana in Iraq è illegale e ha contravvenuto alla Carta della Nazioni Unite», aveva dichiarato Annan in un’intervista del 2004 alla Bbc. «Mi auguro – aggiunse – che non vedremo un’altra operazione militare di questo tipo senza l’approvazione dell’Onu».

Si spinse al punto di dichiarare un paio di anni dopo, quando era ancora segretario generale, che «con Saddam il mondo era più sicuro e la vita degli iracheni meno pericolosa di oggi». Un fatto era certo: Kofi Annan detestava Bush jr e non sopportava la sua politica.

Le cose sarebbero andate meglio con Barack Obama, ma non troppo, anche se ieri l’ex presidente ha rilasciato dichiarazioni di grande stima per la sua azione diplomatica come capo del Palazzo di Vetro. Finito il suo decennio all’Onu, Annan ricevette nel 2012 dal suo successore, il sudcoreano Ban Ki-moon, il mandato di inviato speciale per la Siria.

Ma fu un incarico di breve durata. Il 2 agosto del 2012 a Ginevra, di fronte ai giornalisti, spiegò le motivazioni del suo ritiro indicando precise responsabilità: l’intransigenza del governo di Damasco e il suo continuo rifiuto di applicare il piano Annan in sei punti; la crescente militarizzazione della campagna condotta dall’opposizione ma anche le divisioni interne alla comunità internazionale, la mancanza di unità all’interno del Consiglio di sicurezza dell’Onu.

La Siria si rivelò un caso disperato perfino per un diplomatico di lunga esperienza come Kofi Annan. L’ex segretario generale gettò la spugna dopo oltre cinque mesi di trattative frustranti per cercare di mettere fine al massacro siriano.

Quello che allora confidò ai giornalisti fu la consapevolezza che la Siria non era solo una guerra civile ma un conflitto per procura allargato contro il maggiore alleato mediorientale dell’Iran, dove erano coinvolti i vertici della Casa bianca, il segretario di Stato Hillary Clinton e gli alleati degli Usa nella regione, dalla Turchia, all’Arabia saudita al Qatar.

Questa lettura del conflitto siriano e delle guerre mediorientali la rese ancora più esplicita qualche tempo dopo, in una riunione del 2015 alla conferenza sulla sicurezza di Monaco di Baviera. «Sono gli Stati uniti che hanno aiutato la nascita dell’Isis», disse da quella tribuna in genere assai compassata.

In quella occasione tornò a parlare delle origini irachene del disastro mediorientale: «Ero contrario all’invasione americana dell’Iraq e le mie paure erano fondate. La disintegrazione delle forze irachene ha riversato nelle strade centinaia, se non migliaia, di soldati e agenti di polizia scontenti», denunciò Kofi Annan, ritenendo che questa massa critica avesse poi rappresentato le fondamenta dell’Isis. Furono gli americani, proseguì, a creare il terreno fertile per i fondamentalisti islamici sunniti, padri, e poi affiliati, dei terroristi jihadisti del Califfato guidato da Abu Bakr al-Baghdadi.

Colto, gentile, affascinante, Kofi Annan era spesso in Italia. In una delle sue ultime apparizioni a Montebelluna aveva commentato la decisione del presidente americano Donald Trump di ritirarsi dal Consiglio dei diritti umani dell’Onu.

Una «vergogna», l’aveva definita Annan, una mossa sostenuta soltanto dai vertici dello Stato di Israele. Era chiaro che Kofi Annan aveva dei conti da regolare con i poteri forti della politica internazionale e non le mandava a dire.