Ancora ritardi: a Kobane è arrivato solo un primo «contingente» di pershmerga. Dieci per l’esattezza, insieme a 50 miliziani dell’Esercito Libero Siriano. Il resto – in totale circa 150 – dovrebbero entrare nelle prossime ore. Tra le file delle Unità di protezione popolare (Ypg) c’è chi spera che una maggiore presenza militare possa mettere fine all’avanzata dello Stato Islamico che di nuovo ieri ha tentato, senza successo, di occupare la zona nord della comunità, unica via di passaggio verso il confine turco.

Il Partito democratico del Kurdistan iracheno ha fatto sapere che i primi peshmerga stanno individuando la migliore postazione per l’artiglieria pesante. Rispondono le Unità di protezione popolare: «Il primo gruppo è qui per portare avanti la nostra strategia – ha commentato Meryem Jobane, comandante delle Ypg – Devono prepararsi così da posizionarsi a seconda dei nostri bisogni».

Una dichiarazione che sottintende il timore di perdere il controllo delle operazioni militari: l’arrivo di peshmerga e opposizioni moderate anti-Assad, tanto desiderato dalla Turchia, è volto a ridurre l’influenza del Pkk e ad allontanare definitivamente Rojava da Damasco. Più volte nel mese e mezzo di assedio appena trascorso, Rojava ha chiesto armi e munizioni alla Turchia e alla coalizione ma mai combattenti, consapevole delle mire del fronte anti-Isis.

Lo sa bene anche il presidente Assad che ieri ha condannato il via libera di Ankara all’ingresso dei combattenti inviati da Irbil: il ministro degli Esteri l’ha definita una «palese violazione» della sovranità siriana, mentre il consigliere politico del presidente, Bouthaina Shaaban, ha parlato di un costante «ruolo di aggressione della Turchia contro la Siria».

Che a Kobane non ci si giochi solo il controllo del nord del paese, il corridoio tra Aleppo e Raqqa, ma anche equilibri di potere regionali ormai sembra chiaro. Allo stesso tempo sul tavolo c’è anche la secolare aspirazione kurda all’indipendenza: a Kobane si è ritrovata l’unità tra le varie componenti nazionali in cui il popolo kurdo è diviso, dalla Siria all’Iraq alla Turchia. La presenza dell’Esercito Libero nel cuore del conflitto garantirebbe un controllo diretto dei rapporti interni alle fazioni kurde e allo stesso tempo un rafforzamento politico delle opposizioni moderate, da mesi relegate in un angolo della guerra civile siriana.

E contro Damasco si combatte anche con altri mezzi: mentre l’Osservatorio Siriano per i Diritti Umani parla di 221 civili uccisi dal governo in 10 giorni, mercoledì Assad è stato accusato di aver sganciato due bombe barili sul campo profughi di Abedin, vicino Idlib, uccidendo 70 rifugiati. Le accuse restano per ora senza prove e molti analisti si chiedono perché l’aviazione avrebbe dovuto colpire dei profughi.

Da alcuni giorni la città di Idlib è target dell’Isis che ha occupato lunedì per qualche ora il governatorato e il quartier generale della polizia. Respinti indietro dall’esercito, i miliziani di al-Baghdadi insieme al Fronte al-Nusra hanno occupato le comunità intorno, strappandole al controllo dell’Els.

Al-Nusra resta attiva anche in Libano: ieri si sono registrati nuovi scontri tra gli islamisti e l’esercito di Beirut (sostenuto da Hezbollah) nella valle del Bekaa, dopo l’infiltrazione dei primi dalla porosa frontiera siriana.