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Si può battere sul suo campo un bullo? Forse no, ma si può spiazzare con l’intelligenza. Magari si esce dalla prima battaglia un po’ rattoppati e pieni di lividi, però la seconda volta non sarà più così e ragionare, invece di alzare le mani, sarà l’unica strada per praticare l’isolamento e aggirare l’ostacolo umano.

Il problema sorge quando un ragazzo di nome Joe è un modello per vari motivi: perché è più grande, ha una bella ragazza, veste con marche alla moda. Va imitato? Difficile non farlo e non eseguire i suoi ordini, eppure può accadere di risvegliarsi dal maleficio. E che quel risveglio venga «suonato» da un teenager diverso dagli altri, uno a cui la vita non ha regalato mai niente, ma che rotea le braccia nell’aria per sentirsi libero e lo dice pure, sorridendo. In più, è un asso del pallone.

La salvezza allora, per dei ragazzini soggiogati dal fascino perverso di Joe, arriva dalla Germania dell’Est e si chiama Klaus. David Almond, lo scrittore inglese che ha regalato ai lettori giovani uno dei personaggi più intensi della letteratura, Skellig, e poi Argilla, La storia di Mina, Il ragazzo che si arrampicò fino alla luna, Il Grande gioco, è un autore che sa descrivere l’adolescenza dall’interno, complici forse i lunghi pomeriggi passati a bighellonare per strada nella cittadina mineraria dove è nato. Ora Almond è nelle librerie italiane con il suo Klaus e i Ragazzacci, pubblicato da Sinnos per i tipi «Leggimi!» (libri che facilitano la lettura anche agli occhi pigri e a chi ingaggia la sua battaglia giornaliera con la dislessia).

Il set privilegiato per questa storia di lenta trasformazione di un gruppo che, da branco male assortito, muta pelle abbracciando un principio di autonomia – quello di persone legate da un’amicizia vera – è un campetto di calcio improvvisato, dove si va per fare finte radiocronache immaginando di essere i campioni del momento: Best, Pelé, il portiere russo Yachin, detto il Ragno Nero.

Insomma, per rilassarsi in santa pace, se non fosse che il perdigiorno Joe, con le sue passeggiate sbilenche, interrompe ogni giorno i giochi per costringere tutti a seguirlo in azioni dal sapore e l’aspetto vandalico. Fino a quando decide che la vittima designata sarà il signor Eustace, definito un «buono a nulla» perché poco socievole, poeta e, soprattutto, obiettore di coscienza durante la guerra (siamo negli anni Sessanta): agli occhi di Joe, una colpa imperdonabile. E quel timido abitante della «casa al di là della siepe» (che verrà bruciata in un rogo dimostrativo) ha una funzione narrativa assai simile a quella di Klaus Vogel. È la pedina mancante all’indottrinamento del potere, un essere umano sfuggito al controllo, capace di gesti di accoglienza anche rispetto a chi ha sbagliato.

Offre tè, pasticcini e una sonata di Mozart ai ragazzi (l’eccentrico e, a suo modo, ribelle Klaus e il protagonista del racconto, l’io narrante) al posto di botte e denunce alla polizia. È l’arma migliore da sfoderare contro la violenza. Ce lo dice David Almond in pagine di grande leggerezza. Non lo capiscono invece i potenti della terra, impegnati in questi giorni a incenerire il mondo.