Bentonia è una minuscola comunità rurale del Mississippi. Per intenderci, è davvero di piccole dimensioni: l’ultimo censimento di marzo 2022 dava un totale di trecentodiciannove anime. Non che in passato le cose siano andate particolarmente meglio, basti sapere che non si è mai arrivati oltre i seicento residenti. Da qualsiasi verso la si prenda, per arrivare a Bentonia, lato sud ovest del Delta del Mississippi, ci si deve letteralmente immergere nel mezzo del nulla. O almeno così può sembrare. Perché sia che si percorra la Interstate 55 a scorrimento veloce o la più lenta ma paesaggistica Highway 61, da un certo momento in poi, si deve abbandonare queste strisce d’asfalto a più corsie, diminuire la velocità di viaggio e infilarsi in strade di campagna dove i ritmi si fanno più blandi. Va fatto un respiro profondo, di modo che l’immota lentezza che trasuda il paesaggio riesca ad entrare nel petto. Chetando il cuore, la mente e le bramosie di scoperta: c’è bisogno di tempo per apprezzare la campagna piatta che ingoia lo sguardo da qualsiasi punto la si prenda. Perché ogni metro di strada che si interseca, risuona in blues. Siamo nella contea di Yazoo e il Bentonia style è a un passo. Lo si ravvisa pensando al profilo oscuro e leggendario di Nehemiah «Skip» James e a quello quasi ignoto di Henry Stuckey, al carattere sonoro che non subisce gli strali del tempo firmato da Jack Owens e Bud Spires. E a quello inossidabile di Jimmy «Duck» Holmes, che con buone probabilità troverete ad attendervi in un angolo del suo Blue Front Cafe, il juke joint che gestisce. Un consiglio: se avete intenzione di andare non cercatelo al 107 di W Railroad Avenue come indicato da Google Maps. A volte sbaglia anche l’automobile con la telecamera che ha deciso di riscrivere la cartografia del mondo: il Blue Front Cafe è al 107 di E Railroad Avenue. Dunque, si tratta di un viaggio nell’epoca aurea del blues, quello dei nomi altisonanti e dell’ultima vecchia gloria Holmes? No, perché il blues non è elegia del passato. Piuttosto è un suono giovane e potente. Toglietegli le etichette temporali che lo codificano come antico e/o moderno a seconda della preparazione del critico musicale del momento. Il blues è contemporaneo. E lo dimostrò un viaggio verso Bentonia andato in scena il tre ottobre 2017: nell’automobile che percorse probabilmente la US Route 49W prima di prendere la E Railroad Avenue, dove oltre le trentacinque miglie orarie è consigliabile non andare, non vi erano azzimati bluesmen navigati dalle traversie della vita. Vi erano tre giovanissimi «blues boys»: Marquise Knox, classe 1991, di St. Louis, Missouri; Jontavious «Quon» Willis, classe 1996, di Greenville, Georgia; Christone «Kingfish» Ingram, classe 1999, di Clarksdale, Mississippi. Diretti verso il Blue Front Cafe per incontrare «Duck». Per andare a lezione di blues.

I SEGRETI DEL MESTIERE
A dimostrazione che una nuova generazione non solo esiste, ma è anche numerosa ed estremamente volenterosa nell’apprendere i segreti del mestiere, non si rintraccia solo quell’unico episodio. Nel luglio del 2020 i tre hanno dato vita a un’esperienza analoga, allargando il gruppo ad altri giovani virgulti. Artisti che anche nelle liriche esprimono un’esigenza comunicativa che emerge come punto di rottura rispetto al passato. L’influenza della stagione del movimento Black Lives Matter si fa sentire. Lontana la militanza schietta di gente come Otis Taylor e Willie King, oltre a quella afrocentrica di Corey Harris, ora le canzoni giocano sulle emozioni derivanti dal dolore quotidiano. Che seppur cantato in veste personale, diviene immediatamente collettivo: ne sono la prova brani come Another Life Goes By di Kingfish e You or Me di Marquise Knox.
Ma andiamo per ordine. L’artista più noto è senza dubbio Christone «Kingfish» Ingram, il quale ha raggiunto oramai una notorietà planetaria, grazie al supporto di Buddy Guy che lo introdusse nel giro che conta ben prima della maggiore età. Kingfish, ad oggi, oltre all’extended play del 2014 Deltaboy-The Demo contenente due brani, ha pubblicato due dischi per la Alligator, di cui l’ultimo 662 si è aggiudicato a febbraio 2020 il Grammy nella categoria «Best Contemporary Blues Album». È oramai una consolidata star internazionale con un esperienza da capogiro, che include tra l’altro aver suonato alla Casa Bianca per gli Obama, per la serie Netflix Luke Cage e avere rapporti costanti con rapper del calibro di Rakim e Big K.R.I.T. Anche Jontavious «Quon» Willis può vantare almeno un album nominato per il Grammy, Spectacular Class del 2020, quando assieme all’amico Ingram attesero in sala l’esito della premiazione seduti fianco a fianco. Gli anni della formazione lo vedono dividersi tra la chiesa e lo studio del pianoforte fino a quando nel 2010, mentre trascorreva il natale in famiglia, non mette per la prima volta le mani sulla chitarra. Seminale per comprendere cosa significasse suonare blues, fu la sua esibizione nel 2012 al Black Belt Folk Roots Festival a Eutaw, Alabama. Acquisita sicurezza nei propri mezzi, la svolta arriva nel 2017, quando Taj Mahal e Keb’ Mo’ lo scelsero per aprire una cinquantina di spettacoli del loro tour congiunto. Willis si muove prettamente in ambito acustico, passando con estrema facilità dal Delta al Piedmont Blues, grazie alle sue abilità sia come cantante che come polistrumentista. Inoltre, gli va riconosciuto un notevole carisma come intrattenitore e divulgatore.
Marquise Knox è un altro talento di grandissimo livello, capace di muoversi indistintamente tra acustico ed elettrico. Il suo essere poliedrico ha preso forma con quattro dischi di cui uno dal vivo, al cui interno svaria dal Chicago Blues a passaggi texani con invidiabile facilità. Ad allargare la platea contribuiscono in modo significativo gli altri sodali che nel 2020 condivisero l’esperienza al Blue Front Cafe, oltre a quella del Foxfire Ranch nelle Hills durante gli stessi giorni. A rispondere alla chiamata di Jontavious Willis, vero animatore del gruppo, furono altri cinque giovani artisti. Uno di questi è storicamente partner di lungo corso di «Quon»: stiamo parlando di Jamia Lashawn Hopson, meglio conosciuto come Jayy Hopp. Il quale, dopo le prime esperienze al seguito del padre, pastore di chiesa, ha codificato il suo valore alle sei corde, condividendo sin dagli anni delle scuole superiori il percorso con Jontavious. Hopp vanta dalla sua una voce aspra il giusto e un approccio alla chitarra elettrica che ricorda gente come Albert Collins e Willie King, oltre a saper farsi valere anche all’acustica: buon sangue non mente, in quanto in famiglia si rintracciano due membri degli Ohio Players.

POWER TRIO
Altro chitarrista molto energico e che si muove con disinvoltura nel Chicago Blues è Stephen Hull, anno di nascita 1999 e provenienza dal Wisconsin, il quale rammenta Albert King e alcuni spunti del Jimmy Dawkins più energico. Non è un caso che la sua Stephen Hull Experience, che attendiamo all’esordio discografico, sia strutturata sul classico power trio. Si prosegue con Sean Alexander «Mack» McDonald, classe 2001 che giunge anch’egli dalla Georgia e a soli quindici anni dalle sue parti si fa notare in modo scoppiettante. Ad oggi non ha ancora realizzato nulla su disco per scelta famigliare: prima la scuola e poi la carriera, ma senza tralasciare apparizioni dal vivo da cui si apprezza l’adesione alla vecchia scuola di T-Bone Walker, Johnny Taylor e icone del genere. Da Ruston, Louisiana, arriva D’Kieran «DK» Harrell, vero epigono di B.B. King. Impressionante la voce, il sound alla chitarra e la credibilità sul palco. Nonostante sia anche lui giovane, anno 1998, dimostra una maturità non ordinaria, al punto che nel 2022 ha vinto il premio «King of the Blues-Tribute to B.B. King» istituito dalla Jus’ Blues Music Foundation. Lo scorso sedici ottobre è stato protagonista di una esaltante esibizione presso il Crescent City Blues & BBQ Festival di New Orleans, circostanza che scalda ancor più l’atmosfera in attesa del primo album, Testimony to the Blues, previsto per gennaio 2023.
Un prodigio autentico alla voce è il ventunenne Dylan Triplett che arriva da St. Louis. Proveniente da una famiglia con la musica al centro grazie alle attività paterne, porta con sé una biografia che ne racconta le prime gesta al microfono all’età di nove anni. È davvero la quintessenza del soul blues, come dimostrano i suoi concerti e anche la prima uscita Who Is He? pubblicata a maggio di quest’anno per conto della VizzTone. Il disco, il cui titolo evoca Bill Whiters, è una perla di inusitata bellezza e include tra gli ospiti Kingfish e «Mack» McDonald. Jimmy «Duck» Holmes ne ha quindi di motivi per cui andar fiero, visto quale manipolo di talentuosi bluesmen si sia presentato più volte da lui a imparare i segreti del mestiere. Ma per la sua soddisfazione – e di chiunque abbia voglia e possibilità di presenziarvi -, presso il Blue Front Cafe che gestisce dal 1970 dopo averlo ereditato dal padre che morì in quell’anno, si svolge il Bentonia Blues Festival che Jimmy ha creato nel 1972 e che lo scorso luglio ha raggiunto la cinquantesima edizione. Su quel palco la linea verde ha da sempre un’alta considerazione come comprovano le presenze, solo per citare alcuni tra i nomi più interessanti e tutti minorenni: il chittarista e nipote Eric «E.J.» Fox, il duo Red Meat Rhetoric di stampo rock blues capitanato dal rosso Red Davis a voce e chitarra, l’ottimo chitarrista e cantante Gordon Licciardi di stanza a Oxford con una voce alla Patrick Sweany e un tocco chitarristico à la Dan Auerbach, il sorprendente Lachlan «Lach» Thornton che sia elettrico che acustico mostra un talento spumeggiante acquisito a Jackson, Mississippi.

L’INCONTRO
Lasciando Bentonia arriviamo a Richmond, Virginia, casa di un’armonicista di primissimo livello, oltre che ottimo vocalist: si chiama Andrew Alli ed è l’unico bluesman nato negli anni Ottanta che includiamo in questo speciale. L’afroamericano classe 1988, ha infatti un inizio carriera ritardato, in quanto soltanto a vent’anni, dopo aver ascoltato un musicista di strada, incontra il blues. Ed è grazie a quell’armonicista che si apriranno le porte della conoscenza dello strumento. Da quel momento entra a far parte di varie formazioni dove getta dentro il suo stile mutuato da leggende come Big Walter Horton e Little Walter, fino ad assumere una notorietà grazie alla chiamata proprio di Jontavious «Quon» Willis. Nota di merito che ne sottolinea il valore, è l’inclusione nella raccolta che omaggia il suo maestro Blues for Big Walter, pubblicato dalla Ellersoul nel 2016. In auge anche nei media mainstream è Carl «Buffalo» Nichols, nato nel 1991 a Houston in Texas e cresciuto a Milwaukee, Wisconsin, tra punk e metal. È il preludio alla scelta del blues che abbraccerà da più adulto. Dopo una prima serie di esperienze con una band chiamata Nickel & Rose di stampo country, Nichols sforna nel 2021 un disco notevole con il quale si mette in mostra come solista capace di suonare un blues acustico e catartico, che muta in una versione elettrica e muscolare dal vivo. Dalla costa est, New Hampshire per l’esattezza, scintilla fulgida la stella della diciottenne Veronica Lewis che a voce e pianoforte è una potenza della natura. Si permette di interpretare con estrema facilità calibri come Otis Spann, Katie Webster e Dr. John. Dal 2018 ha portato a casa una schiera di premi nell’area nord est degli Stati Uniti, fino ad aggiudicarsi nel 2021 i Blues Blast Music Award nelle categorie «Sean Costello Rising Star» e «New Artist», oltre ad arrivare in seconda posizione nelle classifica di settore di Billboard e prima in quella di iTunes. Tutto grazie all’ottimo esordio, You Ain’t Unlucky.
Scendendo verso sud ci fermiamo a New York, più esattamente ad Harlem, dove incontriamo «King» Solomon Hicks, anno 1995, altro guitar hero dal tocco deciso ma capace di evidenziare delicatezza al momento giusto. Ascoltando i quattro dischi a sua firma, si affacciano Robert Cray e Bobby «Blue» Bland. Stilisticamente si è forgiato in simultanea sia in orchestra che in combo di piccole dimensioni, oltre ad avere l’opportunità di esporsi in contesti non ordinari come lo stadio dei New York Knicks e la sede delle Nazioni Unite e ad andarsene appena maggiorenne in tour in Europa per aprire ai concerti di Ringo Starr e Jeff Beck. È attivo sia nell’insegnamento che nei quadri culturali cittadini e in quelli nazionali di settore, come testimonia la sua presenza nella Blues Foundation. Nonostante la stagione dorata sia terminata da tempo, la città di Memphis ha ancora molto da offrire dal punto di vista artistico anche in termini paradossali: tanto ingessata e autoreferenziale nelle istituzioni e nei luoghi dedicati alla musica, quanto in realtà utile per un produttivo mondo sommerso in cui a spiccare sono proprio i grandi nomi di domani. In tal senso è molto stimolante il suono Hill Country con spunti r’n’b che ci viene fornito dai Memphissippi Sounds, duo composto dal cantante, chitarrista e sopraffino armonicista Damion «Yella P» Pearson e dal polistrumentista Cameron Kimbrough, nipote dell’iconico Junior Kimbrough. I due sono noti per essere autori di vibranti esibizioni dal vivo e fanno davvero ben sperare.
Ineccepibile è il valore di Jon Hay, impegnato in vari progetti, di cui i maggiori sono la sua presenza alla chitarra per la star del rock’n’roll Jason D Williams e il bluesman John Németh. Hay, nato nel febbraio 2001 a Filadelfia e residente dalle parti di Beale Street, a quattordici anni era già in tour con la rinomata formazione swing inglese The Jive Aces, l’anno successivo crea la sua band e a seguire intercetta le borse di studio della Blues Foundation di Memphis e del Berklee College of Music di Boston. Ha un tocco pieno di sentimento e allo stesso tempo ricco di attualità, non casualmente la critica statunitense di settore lo definisce «swampy and cool»: è un pregio non da poco per un ventunenne che ha deciso di suonare il blues. Tra le varie opportunità avute, Hay ha accompagnato per qualche tempo Max Kaplan, esplosivo cantante e chitarrista che mescola con sapienza blues, soul e rétro rock di stampo Sixties, includendo riferimenti per nulla banali come Little Milton e Junior Parker, al new sound di star come Leon Bridges.
Kaplan nasce nel 1998, a Montclair, New Jersey, che abbandona per poi trasferirsi a Memphis. Dopo vari campi di formazione, si è stabilizzato come Max Kaplan & The Magics con i quali ha anche pubblicato un riuscito album. Continuando nel frattempo a mescolarsi con gli apici della scena musicale locale, ad esempio fungendo da co-autore e bassista per il blues rocker Tony Holiday nel suo lavoro del 2020 Soul Service, prodotto da Ori Naftaly già chitarra leader nei Southern Avenue. Dalle parti della Sun e della Stax, infine, vive anche il ventottenne A.J. Fullerton, originario del Colorado, che dal 2017 ha iniziato a incidere e ad oggi vanta tre album, di cui l’ultimo The Forgiver and the Runaway, lo ha imposto a pubblico e critica.
È palesemente influenzato da North Mississippi Allstars, Black Keys e altre band che fondono i punti fermi dell’ Hill Country Blues con varie forme del roots rock.

FUORI I DISCHI
Andrew Alli Hard, Workin’ Man (EllerSoul Records)
King Solomon Hicks, Harlem (Provogue)
Max Kaplan & The Magics, Mind on My Heart (Color Red Records)
Christone Kingfish Ingram, 662 (Alligator Records)
Marquise Knox, Here I Am (APO Records)
Memphissippi Sounds, Welcome to the Land (Little Village)
Buffalo Nichols, Buffalo Nichols (Fat Possum)
Dylan Triplett, Who Is He? (Vizztone Label Group)
Veronica Lewis, You Ain’t Unlucky (Blue Heart Records)
Jontavious Willis, Spectacular Class (Kind of Blue Music)