Tra gli esercizi di ermeneutica più complessi che si possano compiere oggi in ambito musicale, di critica musicale, c’è quello di definire l’esperienza – perché di esperienza si tratta, intessuta com’è di tutto un immaginario postmoderno, tra cinema, narrazioni, decostruzioni musicali – dei King Gizzard and the Lizard Wizard; ma anche solo di prevedere, da ascoltatore fremente che s’appresta ad ascoltarne l’ultimo album, il tipo di filigrana, di approccio alla base di ogni loro nuovo disco. C’è un’irrequietezza di fondo alle origini stesse del gruppo australiano, all’inizio degli anni dieci, che sabota ogni sintesi, ogni classificazione, e una frenesia nell’esprimersi e nel pubblicare sempre nuovi lavori che ha in sé qualcosa di bruciante, forse anche di disperato, come a volersi immolare sulla pira dell’ispirazione.

E C’È UNA PROBLEMATICITÀ anche rispetto ai supporti, alla qualità del suono, al precipitato estetico, concettuale che ogni volta l’accordo, il timbro, il cosiddetto groove possono trasmettere, tant’è che si passa dai primi dischi autoprodotti, d’impianto garage, al folk e al folk psichedelico, poi al math rock, a screzi funk, acidi oppure jazz, blues, fino ad arrivare a un vasto, spesso devastante rock psichedelico che però indaga ogni possibile mutazione della propria identità. Ecco allora: è una psichedelia mutante quella dei King Gizzard che ora aggredisce il tempo, lo incalza freneticamente a colpi di batteria, basso, chitarra distorta, come accade nel loro disco forse più rappresentativo, Nonagon Infinity, ora invece lo lascia andare, il tempo, lo diluisce in arrangiamenti stratificati, liquefatti, sciolti nel ritmo più lento, andante di dischi come Quarter. Fino ad approdare all’elettronica e a una certa maniera pop nell’ultimo, bellissimo Butterfly 3000, di cui già c’erano le avvisaglie qua e là nei loro molti dischi precedenti, soprattutto in Fishing for Fishies dove Cyboogie alla fine dell’album trascendeva nella dance. Butterfly 3000 è una psichedelia sognante (con anche le inquietudini del sogno come si capisce dal terzo brano del disco, Dreams), una psichedelia sintetizzata, armonica, armonizzata di synth: qualcosa di simile alla virata elettronica compiuta dai connazionali Tame Impala nel 2015 con Currents, o ancora prima, al capolavoro dei Jagwar Ma (sempre australiani), Howlin, che però poi si sono persi. Mentre i King Gizzard non sono mai stati così attuali come in questo momento.