Anna Fifield conosce bene l’Asia e in particolar modo la Corea del nord, dove si è recata decine di volte. Grazie all’immane lavoro sul campo ha maturato una rete relazionale clamorosa, unica nel suo genere, in grado di consentirle l’analisi di centinaia di testimonianze, alcune delle quali davvero originali e quasi mai presenti nelle cronache che vengono prodotte sulla Corea del Nord. Si tratta di rifugiati, ad esempio, ma con legami ancora vivi con il regime, in grado di rilasciare informazioni capaci di aprire squarci di comprensione fondamentali per comprendere cosa accade – davvero – in Corea del Nord.

TUTTA QUESTA MOLE di conoscenza si ritrova ne Il Grande Successore (Blackie Edizioni, pp. 375, euro 21), volume concentrato sull’ascesa e il consolidamento del potere di Kim Jong un in Corea del Nord, paese definito molto spesso «regno eremita» benché oggi sia ampiamente collegato a livello economico – anche se in modi piuttosto contorti – con il mondo globale e in grado di perseguire le ambizioni nucleari tenendo ben stretta la guardia politica interna e consentendo anche una recente crescita economica (del 7% secondo alcune ricerche sud coreane) percepibile soprattutto a Pyongyang, la capitale. E proprio riguardo Pyongyang, una sorta di naturale completamento del libro di Fifield è costituito da Model City Pyongyang (Thames & Hudson, pp 223, 19,95 sterline) dei fotografi Cristiano Bianchi e Kristina Drapiò.
Kim Jong un, il giovane leader del paese, di recente dato per morto e invece riapparso vivo e vegeto nelle immagini televisive delle emittenti statali nordcoreane, rappresenta l’icona di un millennial al potere piuttosto conscio, però, di come funzionano le cose in un regime. Giunto al vertice della politica locale a causa della morte del padre, Kim Jong il, ha utilizzato i due anni decisivi, quelli durante i quali o si consolida il potere o si finisce male, per puntellare il proprio dominio dimostrando razionalità, coraggio e brutalità.

HA ELIMINATO i concorrenti o supposti tali in modo terribile, come ha fatto con il fratello, ucciso a Kuala Lumpur da un mix di veleno appoggiato in faccia da due donne cui è stato commissionato l’omicidio, e ha concentrato la sua politica sul cosiddetto «doppio binario» tanto caro al nonno, Kim Il sung il padre fondatore della dinastia dei Kim: da un lato ha cercato di garantire lo sviluppo militare, fino ad arrivare a dichiarare la Corea «paese nucleare», dall’altro ha manifestato l’intento di migliorare le condizioni di vita della popolazione, abilitando mercati privati e corruzione di ogni tipo, pur blindando il più possibile il paese da influenze esterne e da fughe di notizie. Particolarmente interessante nel volume di Fifield è la parte dedicata ai donjiu, «i padroni dei soldi nordcoreani, un’espressione onnicomprensiva che si riferisce alla classe di imprenditori che ha appoggiato Kim King un e che nel frattempo è diventata ricca oltre ogni più fervida immaginazione. Sono la versione locale degli oligarchi russi».

KIM JONG-UN – anche grazie a questa nuova classe di ricchi nord coreani – bene o male è riuscito nel suo intento accreditandosi anche come grande leader grazie all’incontro con il presidente sud coreano Moon Jae-in e a quello a Singapore nel 2018 con Donald Trump. Del resto, alla brutalità di alcuni suoi metodi, si sono accompagnati momenti di surreale comicità (come i viaggi in Corea dell’ex stella Nba Dennis Rodman) e altri di grande rilevanza politica (come ad esempio convocare il congresso del partito degli operai, operazione che neanche il padre aveva fatto), rafforzando il suo potere e sviluppando il tentativo di rendere Pyongyang una vetrina capace di colpire anche l’immaginario occidentale. La proiezione di tutti questi fattori è infatti ben rappresentata dai magnifici scatti di Bianchi e Drapiò, i quali hanno utilizzato un metodo particolare nel proporre le le loro fotografie: all’immagine di palazzi, edifici storici, statue o vita quotidiana hanno posto un cielo artificiale, ovvero quello utilizzato nei poster di propaganda nord coreani.

IL MECCANISMO è stato spiegato dagli autori stessi al New York Times: «Gli edifici e i paesaggi urbani nel libro sono incorniciati utilizzando un approccio classico, senza modifiche significative, mentre il cielo è completamente sostituito da un gradiente di colori pastello, tratto dalla tavolozza dei colori utilizzata dagli artisti coreani. Il contrasto tra le due parti delle fotografie crea una giustapposizione visiva in cui la parte reale (l’edificio o la città) sembra irreale e la parte irreale (il cielo) potrebbe effettivamente essere reale». L’effetto è davvero straniante e mantiene quel carattere surreale della dinastia dei Kim e del proprio dominio in Corea del Nord che potrebbe perfino apparire magico, se non fosse lì a rappresentare il drammatico cinismo di chi lo governa con il terrore.