Nell’ultimo ventennio dell’Ottocento, mentre a Parigi gli impressionisti rivoluzionano il modo di fare pittura, in Belgio nasce il movimento simbolista, di cui l’esponente più noto è Fernand Khnopff. Se i modelli sono spesso simili, come il paesaggio e il ritratto, si differenziano per lo spirito che li anima. Da una parte la gioia vitalistica della scoperta della natura, dell’aria aperta, della carnalità, dall’altra la malinconia di chi si rinchiude in sé stesso in una specie di «tempio di sé», di «castello del sogno», e ricorre a un linguaggio nuovo, all’allegoria e al simbolo per manifestare il proprio malessere, uno la civiltà della luce, l’altro la civiltà dell’ombra. La sua opera partecipa di un periodo particolare e nasce da una generazione marcata dall’incertezza e dal dubbio. Dopo l’indipendenza conquistata nel 1830 e la prosperità economica che ne è seguita, comincia per la nuova borghesia belga un’epoca di scetticismo in cui, abbandonata la religiosità dei padri, la coscienza moderna è senza più certezze. Ma il ricordo del cattolicesimo, che cerca inutilmente di dimenticare, si può trovare in molte tele del pittore. In Du silence, un pastello su carta del 1890, la modella è sua sorella Marguerite alla quale lo unisce una segreta complicità. La rappresenta molte volte valorizzando la sua silhouette alta e slanciata e il suo fascino androgino. Si serve spesso delle fotografie che gli permettono di sceglierne l’abbigliamento e le pose. Qui la ritrae in piedi con un abito a scanalature, mentre con la mano sinistra coperta da un lungo guanto si porta l’indice alla bocca raccomandando il silenzio. La figura ieratica, dai colori tenui, l’azzurro chiarissimo dell’abito, il giallo smorzato del guanto e dei corti capelli, la testa circondata da un’aureola anch’essa azzurra ricordano l’immagine di un santo.
LA FAMIGLIA
I suoi modelli preferiti per i ritratti sono i familiari e i bambini. En écoutant du Schumann raffigura sua madre seduta in poltrona nel salotto borghese con caminetto di marmo su cui posa un orologio dorato, il pianoforte appoggiato alla parete, un enorme tappeto che copre tutto il pavimento. Madame Khnopff tiene la mano sul viso, concentrata nell’ascolto del musicista preferito dal pittore. Il suo vestito nero con i polsini bianchi che stringono pudicamente i polsi e l’insieme della stanza danno l’impressione di un’atmosfera claustrofobica. Portrait des enfants de Louis Nève ritrae i figli dell’amico che lo aveva ospitato durante la costruzione della sua casa-atelier di Bruxelles. Anche in questo caso per allestire la messa in scena si ispira a una fotografia. I bambini dai quattro ai dieci anni sono disposti sui vari gradini di una scala. I visi seri con i capelli lunghi e la frangia non lasciano indovinare il loro sesso. Come le corte gonne, le camicie e gli stivaletti. Solo la didascalia ci informa che sono maschi. Per loro il pittore ha usato colori decisi, rosso, bianco, nero, che non cancellano però l’idea che non siano bambini felici.
La mostra Fernand Khnopff (1858-1921), le maître de l’énigme, al Musée du Petit Palais di Parigi fino al 17 marzo, presenta un centinaio di opere emblematiche dell’estetica complessa dell’artista belga. Pittore, disegnatore, incisore, scultore e regista della sua opera, lavora su temi molto diversi tra loro, dal ritratto ai ricordi onirici. Invita al sogno e nello stesso tempo alla riflessione sulla propria identità.
Nato e cresciuto vicino a Bruges, dove suo padre era viceprocuratore del re, sembrava destinato a diventare avvocato come molti membri della sua famiglia. Ma il giovane Fernand preferiva trascorrere il suo tempo passeggiando per i vicoli medievali di Bruges in compagnia dei letterati come il poeta Émile Verhaeren.
La precoce vocazione artistica lo portò a lasciare la facoltà di giurisprudenza per frequentare l’Académie Royale des Beaux-Arts di Bruxelles. Tra il 1877 e il 1880 si recò varie volte a Parigi dove scoprì le opere di Delacroix, Ingres, Moreau e Stevens. Nel clima decadente e simbolista del tempo il pittore che più lo influenzò fu il preraffaellita Edward Burne-Jones.
RIMANDI LETTERARI
Ma la sua arte è alimentata da atmosfere più misteriose e inquietanti, da silenzi profondi, da apparizioni arcane e enigmatiche dai complessi rimandi letterari. Come se volesse rivelare una realtà altra non percepibile dai sensi, più profonda e misteriosa anche quando dipinge un vaso di ortensie appoggiato sul tavolo, un olio su tela del 1884. La raffigurazione banale si può decostruire per mettere in scena un’azione il cui senso si chiarisce solo con il linguaggio dei fiori. La porta sulla destra, in fondo una donna seduta intenta a leggere, in primo piano il tavolo, su cui è posato il vaso, senza prospettiva, come se fosse posto in verticale, trasformano l’immagine in un rebus. Che si chiarisce solo dalla contrapposizione dell’ortensia, simbolo di frigidità sottolineata anche dal suo colore azzurro, con la piccola rosa rossa con la testa recisa che spicca sulla tovaglia bianca come emblema della passione impossibile. Le immagini di Fosset, un paesino nelle Ardenne belghe dove la sua famiglia passava le vacanze estive, hanno toni smorzati, come se fossero viste sempre al tramonto. À Fosset. L’entrée du village, un olio su tela del 1885, nei verdi smorzati che tendono al blu, il paesaggio deserto sembra abbandonato. Un piccolo ponte a tre archi immette al borgo dove a poche case bianche sono addossati cumuli di legna tagliata per l’inverno. Prati quasi grigi, esili alberelli e un bosco che si indovina all’orizzonte formano un insieme minimale. In À Fosset. De la pluie, i contorni e le forme del paesaggio perdono la loro consistenza a contatto con l’atmosfera carica di umidità, ma danno anche conto del clima spesso grigio dove il sole splende solo raramente, i colori risultano spenti e influenzano negativamente l’umore delle persone.
MITI ANTICHI
Come altri pittori simbolisti, Khnopff è affascinato dai miti antichi, dalla Medusa a Edipo, che dipinge in Des caresses come un dio greco accanto alla Sfinge dal corpo di leopardo e dal viso di sua sorella. Tra le sue ossessioni ricorre molte volte la figura di Hypnos, il dio del sonno figlio di Nyx, la notte, e di Érèbe, le tenebre, e gemello di Thanatos, personificazione della morte.
La testa di Hypnos attribuita allo scultore greco Scopas seduce il pittore che lo scolpisce e lo riproduce spesso nei suoi quadri con un’ala spezzata così come ci è tramandato. La piccola testa con l’ala dipinta di blu, colore del sogno, è rappresentata per la prima volta nel 1891 nel quadro I Lock My Door Upon Myself. Il titolo è ispirato a un poema di Christina Rossetti, moglie del pittore preraffaellita Dante Gabriel Rossetti e sottolinea l’atteggiamento della modella che ha chiuso la porta su sé stessa. Seduta dietro la tavola coperta da una tovaglia nera, su cui appoggia le braccia che sostengono il viso, ci guarda con occhi chiari, come vuoti. Tutto concorre a un’atmosfera di disfacimento. Chiusa in una solitudine volontaria, la ragazza dai tratti magri e dagli occhi fissi, accanto a gigli sfioriti, dietro di lei la parete di legno senza aperture e i colori sbiaditi danno l’idea delle cose vicine alla loro sparizione. Anche Souvenir de Bruges. L’entrée du béguinage, da una fotografia che illustra il romanzo Bruges-la-morte di Georges Rodenbach, è sulla stessa lunghezza d’onda: un canale con foglie di ninfee senza fiori, un ponte che conduce a un convento, colori che vanno dal grigio al nero, a un verde spento.