A Washington l’accordo con l’Iran c’è: 42 senatori voteranno a favore dell’intesa sul nucleare iraniano raggiunta a Vienna lo scorso 14 luglio tra i cinque paesi del Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite con la Germania (P5+1) e i negoziatori iraniani. Il pressing di Obama, grazie a una campagna mediatica a tappeto che ha spiegato punto per punto i dettagli tecnici dell’intesa, sembra aver funzionato. Il presidente Usa forse non dovrà più esercitare il diritto di veto e potrà evitare addirittura che si vada al voto. Il presidente ha anche incassato il sostegno, insperato, all’accordo da parte dell’ex segretario di Stato Colin Powell.

Eppure la fine delle sanzioni non è ancora scontata. Il senatore democratico Ben Cardin sta lavorando perché vengano approvate ulteriori sanzioni contro Tehran. Ma il primo a frenare sul disco verde all’intesa è proprio la Guida suprema iraniana, Ali Khamenei, che ha demandato ogni decisione al parlamento iraniano, il Majlis. «Spetta ai deputati decidere ma le sanzioni devono essere revocate non solo sospese», ha minacciato il leader iraniano. Khamenei si è spinto anche oltre, aggiungendo che l’unico tavolo negoziale con gli Usa è sul nucleare. In altre parole qualsiasi altra intesa con Washington, sulla Siria per esempio, non è per nulla scontata. Anche il presidente dell’Assemblea degli esperti, Mohammad Yazdi, ha aggiunto che l’approvazione dell’intesa non avrà nessun effetto sulla politica estera iraniana. Secondo lui, non solo il parlamento ma anche il Consiglio di sicurezza nazionale dovrà dare il suo parere.

Queste dichiarazioni hanno avuto un’eco enorme negli Stati Uniti, tanto che la candidata democratica alle prossime presidenziali, Hillary Clinton, ha assicurato che se Tehran non approverà l’intesa, si procederà con la soluzione militare. In Iran però l’accordo voluto dal ministro degli Esteri Javad Zarif sta riscuotendo anche sostegni. L’ultimo a dirsi favorevole è il presidente del parlamento, Ali Larijiani. Lo stesso Larijiani ha parlato anche di un possibile scambio di prigionieri con gli Stati Uniti. L’Iran sarebbe pronto a trovare una soluzione al caso di Jason Rezaian, corrispondente del Wahington Post in carcere a Tehran.

Ma ormai alcune novità in politica estera sono già concrete. Come la riapertura delle reciproche ambasciate a Tehran e Londra, chiuse dopo le proteste anti-Usa e anti-britanniche in Iran alle porte della rappresentanza diplomatica inglese nel 2011. I media conservatori hanno però duramente criticato il ripristino delle relazioni diplomatiche con Londra, suggellate dalla visita del ministro degli Esteri, Philip Hammond a Tehran.

Eppure è già pronta una nuova ondata repressiva dopo le concessioni in politica estera. Le prime a pagarne le conseguenze saranno le donne iraniane con hejab succinti che d’ora in poi saranno arrestate dalla polizia stradale. Il generale Teymour Hosseini ha anche assicurato il sequestro delle vetture per le donne velate male o senza velo. Il portavoce del ministero della Giustizia, Gjolam Hossain Mohseni, ha anche annunciato un’ondata di arresti contro presunte spie di Stati Uniti e Israele in Iran. Infine, resta in carcere l’ingegnere Omid Kokabee, obiettore di coscienza contrario al programma nucleare iraniano, nonostante le pressanti richieste internazionali di scarcerazione.