I soldati israeliani ieri non si sono presentati di nuovo alla porta di Khalida Jarrar ma cresce ugualmente la mobilitazione dei palestinesi a sostegno della parlamentare del Fronte popolare per la liberazione della Palestina (Fplp) che mercoledì si è vista consegnare dalle forze di occupazione un ordine di espulsione entro 24 ore da Ramallah e di confino a Gerico per almeno sei mesi. Il motivo? Non si conosce. L’Esercito parla di «minaccia alla sicurezza» di Israele. Attivisti, compagni di partito e diversi deputati si sono detti pronti a schierarsi a protezione della esponente del Fplp, per impedire ai soldati di avvicinarsi alla sua abitazione.

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L’Olp, per bocca del caponegoziatore Saeb Erakat, ha protestato contro il provvedimento israeliano, sottolineando che infrange leggi e convenzioni internazionali. Una ondata di critiche tuttavia ha colpito in queste ore proprio i vertici dell’Olp e dell’Anp. Ramallah è una città autonoma, sulla base degli accordi di Oslo, e sotto il pieno controllo dell’Anp che però non ha sollevato alcuna obiezione al raid compiuto dalle forze militari israeliane all’interno della città. L’ong Addamir, che assiste i detenuti politici, ha condannato la passività dell’Anp nei confronti della minacciata deportazione di un membro del Parlamento e ha accusato le autorità palestinesi di aver di fatto avallato il confino della Jarrar.

Eletta al parlamento palestinese nel 2006, esponente di punta del Fplp e del movimento delle donne, a Jarrar è proibito viaggiare al di fuori del territorio palestinese dal 1998 (ha potuto lasciare la Cisgiordania solo nel 2010, per cure mediche ad Amman). Negli ultimi anni Israele ha deportato in Cisgiordania tre parlamenti palestinesi – Mohammad Abu Teer, Ahmad Atoun e Mohammad Totah – e il ministro degli affari di Gerusalemme Khalid Abu Arafeh.