Come nel periodo della crisi finanziaria dei subprime 2007-08, lo spettro di Marx si era aggirato nelle discussioni economiche (sino ad avere l’onore di una copertina sul Time del 2 febbraio 2009), così oggi, ai tempi della crisi economica da Covid, il pensiero di Keynes sembra essere tornato in auge dopo più di quarant’anni di semi-oblio.
Come nel primo caso, anche in questo secondo caso, il ritorno al pensiero dei «classici» (si può annoverare Keynes tra questi) rischia di essere una meteora.

SI POTREBBE OBIETTARE che nel corso dell’ultimo decennio, le scelte di politica economica si sono mosse nell’alveo teorico dettato dalla vulgata di Keynes: politica monetaria espansiva al fine di ridurre i tassi d’interesse e l’onere del debito e, a partire dalla recente crisi da Covid, una politica fiscale altrettanto espansiva, con aumento della spesa pubblica, sia in Usa (piano di rilancio economico dell’Amministrazione Biden) che in Europa (piano Next Generation Eu), svincolandosi dai dettami rigoristi dell’ortodossia monetarista neo-liberale.
Per discutere di questi punti, può essere utile la lettura del recentissimo libro di Anna Carabelli, Keynes on uncertainty and tragic happiness. Complexity and expectations («Palgrave Studies in the History of Economic Thought», Palgrave Macmillan), frutto di oltre 40 anni di ricerche.

Il libro analizza in modo esaustivo e particolareggiato l’opera omnia dell’economista inglese e argomenta, in modo incisivo e chiaro (quasi incontrovertibile) che il pensiero di Keynes è caratterizzato da una coerenza interna dettata da un metodo che è presente in tutte le sue opere. Vengono quindi criticate le diverse posizioni di chi ha visto nell’opera di Keynes l’esistenza di diverse chiavi o livelli di analisi. C’è quindi un solo Keynes e non molteplici Keynes.
Tale affermazione è rilevante per il secondo ordine di conclusioni a cui Anna Carabelli giunge, ovvero che il pensiero di Keynes è inconciliabile, proprio per la metodologia d’analisi utilizzata, con il pensiero economico neoclassico che fa perno intorno alla teoria dell’Equilibrio Economico Generale.
«Keynes sostiene che l’economia non è una scienza naturale e che i metodi positivistici non possono essere applicati ad essa». Piuttosto Keynes ritiene che l’economia sia una scienza morale (che ha a che fare con valori etici e di introspezione) e una branca della logica, non dimostrativa (formale) ma argomentativa. Questo modo di pensare attraversa costantemente tutta l’opera keynesiana, a partire dal Trattato sulle probabilità sino alle due sue opere maggiori, il Trattato sulla moneta e la Teoria generale. Qui sta la novità di Keynes.

I CAPITOLI 2, 3 e 4 dell’opera di Anna Carabelli approfondiscono questo aspetto, a partire da una «razionalità ragionevole» (e non perfetta), per poi affrontare il tema – decisivo – della complessità della scienza economica e della sua «non misurabilità» e porre le basi alla critica metodologica della teoria neoclassica (da Keynes, chiamata «classica») (capitolo 4). Il tema della misurabilità, legata anche al fatto che l’incertezza domina qualsiasi scelta economica (e non vi è nessuna teoria probabilistica che possa consentire di «misurare» le aspettative future), è oggi ancor più attuale di quanto non lo fosse ai tempi di Keynes (epoca fordista), se non altro per il fatto che oggi l’accumulazione di capitale si basa sempre più su produzioni intangibili che hanno a che fare con la mercificazione della vita e la riproduzione sociale (capitalismo bio-cognitivo).
Nella seconda parte del libro, Carabelli si sofferma sul tema dell’eterogeneità dei valori etici che influenzano gli atti economici, a partire proprio dal ruolo giocato dall’incertezza. A tal riguardo, in modo molto originale, si fa riferimento al concetto della «tragedia» greca. «La storia racconta la fragilità della civiltà umana. La tragedia contempla l’inevitabile caduta dell’orgoglio umano, l’umiliazione dall’apice della grandezza umana. Anche l’ansia e la paura sono importanti nella tragedia e mettono l’uomo in un dilemma costante sul corso necessario dell’azione umana. L’indecisione e la vacillazione del giudizio fanno parte della comune condizione umana». Ciò si traduce in una serie di dilemmi morali, che sono ben presenti in Keynes.

È QUELLA «tragica felicità» che caratterizza l’essere umano, condizionato da valori etici eterogenei, che fanno della scienza economica una disciplina umana e sociale, ben lontana dall’essere ricondotta a modelli matematici, dove tutto torna e l’equilibrio ottimale può essere raggiunto.
In fin dei conti, seguendo l’insegnamento di Keynes, Anna Carabelli ci ammonisce che un buon economista dovrebbe studiare in primo luogo logica, filosofia e storia. Esattamente l’opposto di ciò che accade oggi nelle università italiane.

*
Domani dalle 18, Stroncature organizza la presentazione online del volume. Con l’autrice dialogano Giovanni Farese, Giorgio La Malfa e Roberto Menotti. Per partecipare è necessario registrarsi.