Tempo fa, è uscito negli Stati Uniti un libro, una raccolta di scritti mai pubblicati prima, a firma di Jack Kerouac. Ma pochissimi giornali – se non nessuno – confermano dalla casa editrice, se n’è occupato con pertinenza. Lo abbiamo letto, e oggi lo presentiamo sulle pagine di Alias.
«Sono franco canadese, nato in New England. Quando sono arrabbiato, spesso impreco in francese. Quando sogno, spesso sogno in francese. Quando piango, piango sempre in francese, e dico ’non mi piace, non mi piace’. È la mia vita nel mondo che non voglio. Ma c’è. Sono ancora curioso, ho ancora fame, la mia salute è eccellente, amo la mia donna, non ho paura di andare lontano, non ho neanche paura di lavorare duro, fino a che non ho bisogno di lavorare sessanta ore la settimana. Non mi va di alzarmi la mattina ma quando devo, mi alzo. Posso lavorare 40 ore la settimana se il lavoro mi piace. Se non mi piace, lo lascio. La mia famiglia e la mia donna mi hanno sempre aiutato, senza di loro, penso sarei morto nella neve in qualche posto. Un giorno sarò un uomo come gli altri uomini. Oggi sono un bambino e lo so, e passo il tempo a pensare. Dovrei essere uno scrittore. Ho pubblicato un libro, ho ricevuto 1,900 dollari per quattro anni di lavoro su quel libro. Prima ho passato dieci anni a scrivere altre cose che non sono mai stato capace di vendere. È possibile che un giorno, una volta che sarò passato dall’altra parte del buio per sognare eternamente, queste cose, storie, scene, appunti, questa dozzina di romanzi impossibili, finiti a metà, saranno pubblicati e qualcuno raccoglierà i soldi che sarebbe dovuto arrivare a me. Ma questo succederà se sarò un grande scrittore prima di morire».

ERA IL 1951

Quando il ventottenne Jack Kerouac scrisse queste parole nel febbraio del 1951, la sua fama non era ancora nata e, nonostante avesse già pubblicato quel libro di cui parla, La città e la Metropoli nel 1950 (The Town and the City), che non aveva incontrato un grande interesse nel pubblico di quegli anni, proprio quel 1951 avrebbe rappresentato un periodo decisivo e formativo per la sua scrittura. Ecco, questo e molti altri sono gli scritti, spesso incompiuti e alcuni tradotti dal francese, contenuti nel libro The Unknown Kerouac – Rare, Unpublished & Newly translated Writings (Kerouac Sconosciuto – Scritti Rari, Mai Pubblicati & Tradotti di Recente), uscito per The Library of America (curatore Todd Tietchen, traduttore Jean-Christophe Cloutier, pp.470, dollari 35).
Già, lo scrittore americano forse tra i più amati al mondo, era nato Jean-Louis Lebris de Kérouac da genitori provenienti dal Quebec, ed era cresciuto nella comunità franco canadese di Lowell in Massachusetts, parlando principalmente joual, un dialetto franco canadese, fino all’età di sei anni, quando sarebbe poi entrato a scuola. Le pagine di The Night is My Woman (La Nuit est ma femme), racconto incompiuto e scritto in francese nel 1950, e da cui queste parole sono tratte, risalgono al periodo appena precedente a quello in cui comincerà a lavorare a Sulla Strada. Sono parole che contengono moltissimi riferimenti autobiografici, ai propri interrogativi, alla propria famiglia, alla madre, al padre, e già alla sua personale e infinita ricerca stilistica.

IL DIARIO

Journal 1951, scritto tra fine agosto e novembre di quell’anno (’51), mentre stava all’ospedale dei veterani nel Bronx per una flebite alle gambe, rappresenta una continuazione sia del diario, sia di quella ricerca di un suo personalissimo stile. Proprio qui aveva dichiarato che voleva che diventasse una regola, quella di «scrivere, volente o nolente, pezzi che non si curino in particolare della grammatica, come un uomo inebetito scrive il sogno da cui si è appena svegliato». Prima di completare Sulla Strada, avrebbe anche lavorato al racconto Old Bull in the Bowery, scritto inizialmente in francese con il titolo Sur le Chemin, e poi tradotto in parte da Kerouac stesso e, ancora, in appendice, troviamo I Wish I Were You, racconto scritto con William Burroughs nel 1945. Ne parlerà alla sorella Caroline, ‘Nin’, come di «un ritratto di una parte persa della nostra generazione, difficile, onesta, tremendamente reale».

UN PUZZLE

Certo, forse sono scritti, pezzi di un puzzle non sempre apprezzato da tutti, e di cui non si riuscirà mai realmente a vedere un’immagine nitida e completa, ma sono sicuramente le tante voci di un’esistenza che, a 48 anni dalla scomparsa, oggi possiamo finalmente conoscere un po’ meglio. Nell’intervista Doing Literary Work: An Interview with Jack Kerouac, (Fare Lavoro Letterario: Un’intervista con Jack Kerouac), rilasciata nel giugno del 1963 a John Clellon Holmes, uno degli amici più leali e onesti conosciuto anni prima, Kerouac parlerà in modo sincero della sua vita in quel momento. Soprattutto non nasconderà la propria delusione nei confronti della critica che, nonostante Sulla Strada fosse stato pubblicato ormai da sei anni, ancora non smetteva di interpretare male e non capire il suo lavoro.

LO STILE

L’intero brano rappresenta non solo uno scambio tra un giornalista e uno scrittore, ma soprattutto tra due amici che si rispettano. Kerouac spiega qui che, stando all’ospedale nel Bronx, «alla fine avevo avuto tempo di pensare e manifestare i miei desideri più nascosti sullo scrivere: di dire esattamente quello che succedeva e di non preoccuparmi dello stile, ma solo dell’interezza del dettaglio, e al diavolo quello che pensano gli altri». Aveva risposto (l’intervista fu realizzata attraverso uno scambio epistolare) alle domande dell’amico sulla sua vita, sull’evoluzione del suo stile, sui suoi interessi e le sue preoccupazioni, sempre in un modo confidenziale che raramente fu raggiunto in altre interviste. Ma un sentimento di forte ambiguità si sarebbe continuato a presentare in questi e altri scritti, forse per tutta la vita e, purtroppo e senza forse, per un’insicurezza al limite della depressione. Nato in un ambiente in cui bello sentire di avere tradizioni che risalivano alla cultura francese, come ricorda anche il traduttore Jean-Christophe Cloutier, «quando crebbe, cominciò a provare vergogna per il proprio retaggio di lingua francese». Già, il Kerouac che conosciamo come il coraggioso, libero e avventuroso viaggiatore, aveva scritto in alcuni appunti «devi vivere in inglese», «è impossibile vivere in francese» e, rispetto al suo duplice idioma, nelle pagine di The Night is My Woman scriveva: «quando parlavo francese ero un uomo totalmente differente». E Coultier ci dice che, «se si leggono i primi lavori, lì troviamo davvero quell’uomo».
Sembra proprio volesse essere, o forse anche solo sembrare, noncurante e dimostrare a tutti di essere un vero americano. Già nelle pagine iniziali del libro, nello scritto del 1946 America in World History (L’America nella Storia Mondiale), scritto a soli ventiquattro anni, esprimeva l’orgoglio, forse anche un po’ troppo trionfante, di un’America idealizzata nell’epoca immediatamente post bellica. Un’America virtuosa e vincente, di cui elencava i meriti, e tanto migliore della vecchia Europa, che non pareva cercare il nuovo.

MAESTRI

Gli scritti della prima parte del libro e del periodo compreso tra il 1946 e il 1950, rivelano già un Jack Kerouac sempre più interessato a scrittori e ideali mentori a cui ispirarsi, come Shakespeare, Joice, Rimbaud, Spencer, e anche i Surrealisti. Quello stile immediato, quel flusso continuo di pensieri, dubbi, domande e parole, quel modo di scrivere che fa Kerouac proprio e unicamente Kerouac, resta una specie di dichiarazione, e forse anche un segno di come si sarebbe sviluppato il personaggio e la leggenda del suo alter ego Jack Duluoz, con quello stile di ‘prosa spontanea’ che aveva sperimentato dagli anni 50 e introdotto sempre più nei suoi libri, comeVision of Cody (interamente pubblicato solo nel 1972), o Big Sur (1962), rivoluzionario nello stile fluido e nelle libere associazioni.
Beat Spotlight, cominciato poco tempo prima della morte nel 1969, racconta come aveva vissuto, nel 1957, la fama e il repentino successo di Sulla Strada. «Era il 3 settembre quando fui invaso da alcuni reporter che dicevano di arrivare da Time Magazine, che il mio libro era stato pubblicato a New York e che volevano farmi qualche foto. Ma ero appena tornato da un inutile viaggio in bus a Città del Messico e, non so come, mi ero ammalato così che facevo fatica a stare in piedi e non riuscivo a sopportare che il mio corpo fosse così gonfio. Era terribile. In tutta la serietà di quel momento, improvvisamente arrivarono due sfrontati giornalisti americani che mi chiesero se la ragione per cui sembravo tanto malato, non fosse perché ero ubriaco o drogato, o naturalmente depravato. Mi scattarono una foto seduto fiaccamente su una sedia a dondolo . ‘Cos’ha contro le responsabilità?’ e avanti così fino a che non diventai davvero confuso, chiedendomi cosa volessero dire. . Non fu fino a che tornai a New York, che cominciai a capire cosa stava davvero succedendo, con tutte queste stranezze di farmi un sacco di domande su cose a cui non avevo mai pensato, come se avessi potuto capire l’America solo con qualche autostop e qualche avventura di notte lungo la ferrovia…». Quello che Jack Kerouac aveva capito però, da sempre, da subito, era semplicemente di essere uno scrittore.