Lo ha annunciato come il suo ultimo film, almeno con degli attori, ancor prima della selezione in concorso, se Jimmy’s Hall lo sarà davvero è da vedere (e infatti in conferenza stampa si è un po’ smentito…), di certo è che molti scommettono sul suo protagonista, Barry Ward per la Palma d’oro al migliore attore.

La storia si ispira a una figura reale, quella di Jimmy Gralton, deportato negli Stati uniti, nel’33 dall’Irlanda dove non tornerà mai più. A New York, Gralton continuerà a fare politica, fino alla morte nel’45.

Per rafforzare lo statement di «verità» il film si apre con gli archivi in bianco e nero, immagini dell’America di Harlem, del jazz e della Grande Depressione. Gralton vi si era rifugiati già dieci anni prima, fuggendo da preti e latifondisti che volevano ammazzarlo perché aveva aiutato i contadini a riprendere le loro terre.

Ora siamo nel 1932, a County Leitrim la guerra civile irlandese è finita da dieci anni, lasciando molti morti alle sue spalle. Anche il fratello di Jimmy è stato ucciso, e lui è tornato per aiutare la madre ormai anziana

Dieci anni prima, Jimmy, comunista e ateo aveva aperto coi suoi compagni, contadini come lui, il Jimmy’s Hall dove si ballava ma anche si tenevano corsi di poesia, pittura, si leggevano libri «pericolosi», e si facevano corsi di boxe. Il prete del villaggio li odiava, non poteva tollerare posto che sfuggiva al suo controllo e lo stesso i padroni, non sia mai che i contadini potessero avere una propria testa. La madre di Jimmy che girava con una sua biblioteca ambulante è vista dal prete come una terrorista. Non sai quanto sono pericolosi gli autodidatti, dice al giovane prete meno rigido di lui.

Il ritorno di Jimmy è perciò malvisto e quando riapre il suo club è guerra. Il prete compila liste di proscrizione e boicotta con ogni mezzo quel luogo di libertà e divertimento, che diffonde il comunismo, Karl Marx e l’esempio dei temibili wobblies i sindacalisti americani. Per non dire del jazz, la musica dell’Africa, la musica del diavolo.

Chiesa e poteri economici, sodalizio ben collaudato. Con repressione, divieti, anche ballare è intollerabile nell’Irlanda in cui dopo la guerra le generazioni più giovani sperano nel cambiamento. Col suo sceneggiatore Paul Laverty, Loach traduce la vicenda di Gralton in una dimensione universale, e anche oltre l’epoca storica in cui si ambienta. La sua figura racconta la lotta contro i poteri forti, le alleanze della politica e delle istituzioni, stato e chiesa, per eliminare gli elementi provocatori, chi resiste, lotta, per impossessarsi dei mezzi di produzione e dell’immaginario.

Rispetto a film più lontani, il cinema di Loach sembra ormai quasi «classico», millimetrato nella sceneggiatura che dosa, equilibra, modula temperature emozionali e movimenti narrativi. Funziona (moltissimi applausi) perché è rassicurante, non disturba, divide i buoni dai cattivi, dà tutto quello che ti aspetti, commozione, indignazione, amore, lotta, musica. Come una buona, vecchia tazza di the…