Sulle quote di migranti da ricollocare nei diversi stati dell’Unione europea interviene il Parlamento di Strasburgo. E bacchetta i governi.

Il messaggio dell’Eurocamera ai 28 stati Ue è chiaro: «Ci vuole più solidarietà». Ska Keller, giovane e combattiva vicepresidente del gruppo dei Verdi europei, è la relatrice della proposta di deliberazione che chiede di modificare il piano elaborato dalla Commissione di Bruxelles, su cui a luglio si è raggiunta una prima intesa politica da parte dei ministri degli interni.

Onorevole Keller, quali sono le differenze più importanti fra la proposta di cui lei è relatrice e quella della Commissione Ue?

Le differenze principali sono quattro. La prima: il parlamento ritiene che la cifra individuata di 40mila migranti sia solo un punto di partenza, e che il sistema di ripartizione per quote debba essere permanente, mentre i governi si sono impegnati solo per quei 40mila e solo come misura eccezionale e temporanea.

La seconda: la ripartizione deve essere vincolante per gli stati, e non su base volontaria.

In terzo luogo, noi chiediamo come parlamento di essere pienamente coinvolti nell’applicazione di queste norme, non semplicemente consultati.

E, infine, il parlamento vuole che si prendano in considerazione anche gli interessi e le preferenze dei profughi stessi. Non ha senso, secondo noi, inviare un profugo in un Paese in cui non ha contatti o del quale non conosce la lingua: occorre dare la possibilità alle persone di esprimere le loro eventuali richieste circa la destinazione e, se possibile, soddisfarle.

Quindi i profughi potrebbero decidere liberamente il Paese dove stabilirsi?

No, non sarebbe una decisione totalmente libera della persona. Ma il richiedente asilo avrebbe la possibilità – che ora non ha – di chiedere che per la sua destinazione finale si tenga conto del suo punto di vista: magari ha parenti o conoscenti che vivono già in un Paese europeo, ed è ragionevole che desideri raggiungerli. E le istituzioni dovrebbero provare ad andare incontro a tali richieste.

A che punto è la proposta di risoluzione?

La commissione affari interni l’ha già votata ad ampia maggioranza: anche il gruppo dei popolari ha detto in larga misura sì. La prossima settimana ci sarà il passaggio nell’aula di Strasburgo, e non dovrebbero esserci sorprese negative: i numeri per approvarla ci sono. La questione più delicata è se i singoli stati si impegneranno davvero a rispettare e applicare la decisione dell’Europarlamento.

Quali Paesi potrebbero «ribellarsi»?

Guardando i risultati dell’ultimo Consiglio dei ministri degli interni si può capire bene quali governi seguono una linea restrittiva in materia di accoglienza: c’è l’Ungheria, ma anche la Gran Bretagna e la Spagna, ad esempio.

Come giudica l’idea di aprire centri di raccolta di profughi gestiti dalla Ue fuori dai propri confini?

Noi verdi siamo contrari: non ci sarebbero sufficienti garanzie su un trattamento rispettoso dei diritti dei profughi. Siamo favorevoli, invece, alla concessione di visti umanitari.

Lei, da cittadina tedesca, come giudica quella che alcuni media considerano la «svolta umanitaria» di Angela Merkel? Il governo di Berlino ha davvero assunto un ruolo di «leadership morale» nella questione profughi?

No. La cancelliera non gioca affatto un ruolo positivo in tutta questa vicenda. In Germania non ha appoggiato con la dovuta forza né le persone che si battono a favore dei profughi e contro i razzisti, né i profughi stessi. E a livello europeo non si è spesa per un incremento dei numeri delle persone da accogliere e ripartire.

E la decisione del governo tedesco di sospendere le «regole di Dublino» sui siriani?

Innanzitutto quella scelta mostra che il sistema di regole di Dublino (in base al quale i migranti possono chiedere asilo solo nel primo Paese Ue in cui mettono piede, ndr) è ormai al capolinea. Quindi va bene disapplicare quelle norme, ma in realtà non andrebbe fatto soltanto nei confronti dei siriani, ma dovrebbe riguardare tutti.