Il nuovo governo islandese, che si è presentato domenica scorsa, ha confermato l’esito delle elezioni del 25 settembre: la riproposizione dell’alleanza sinistra-centro-destra tra Vinstri græn (Sinistra verde), Framsóknarflokkurinn (partito del progresso) e Sjálfstæðisflokkurinn (partito dell’indipendenza). Nonostante l’ampia frammentazione delle forze politiche dell’isola il tripartito guidato dalla giovane premier eco progressista Katrín Jakobsdóttir ha avuto, da subito, ampi numeri per una solida maggioranza parlamentare. È nato così il secondo governo Katrín dove la ripartizione dei ministeri è stata ponderata in base ai nuovi equilibri usciti dalle urne. Per questo i centristi e rurali del Framsóknarflokkurinn, passati dall’undici al 17%, hanno aumentato i propri ministri da tre a 4 mentre il Partito dell’Indipendenza continuerà con cinque ministeri e la Sinistra Verde manterrà i suoi tre.

Ci sono notevoli cambiamenti, con trasferimenti di deleghe tra i ministeri e ne verranno istituiti di nuovi. Chi perde entrambe le deleghe del primo governo Katrín è proprio il suo partito. Guðmundur Ingi Guðbrandsson, il ministro all’ambiente che aveva preso provvedimenti importanti contro il riscaldamento climatico, è stato trasferito agli affari sociali e del mercato del lavoro. Al suo posto siederà Guðlaugur Þór Þórðarson esponente conservatore che è, probabilmente, il boccone più amaro che la Sinistra Verde ha dovuto ingoiare per il suo arretramento elettorale. La preoccupazione dei dirigenti di Vg, che hanno discusso la nuova alleanza di governo sabato scorso (passata con l’ottanta per cento dei presenti), si è infatti concentrata sulle tematiche ambientali a partire delle posizioni del neo ministro, in passato favorevole allo sfruttamento e alla privatizzazione delle risorse energetiche di cui l’Islanda è ricca.

Forte preoccupazione è stata espressa anche in merito alla riconferma della ministra degli esteri Þórdís Kolbrún Reykfjörð Gylfadóttir, anche lei conservatrice e protagonista di diversi respingimenti di migranti, anche richiedenti asilo, da parte della polizia, con modalità definite brutali dalle organizzazioni umanitarie. Per questo la neo premier ha cercato di tranquillizzare il suo partito essendo riuscita ad arrogare a se la delega che si occupa, proprio, dei richiedenti asilo.

La Sinistra Verde ha quindi deciso un approccio pragmatico, costruendo con gli alleati un documento di 40 pagine che esordisce dichiarando di aver stipulato un accordo «a difesa degli interessi comuni della nazione» e si conclude affermando che «la cooperazione di questi tre partiti, che abbracciano un ampio spettro della politica islandese, crea un equilibrio che è una base importante per il progresso».

Un equilibrio che ha retto nelle urne e che vede la riconferma, per la prima volta dalla nascita della Repubblica d’Islanda nel 1944, di una premier donna e di sinistra che sta affrontando la pandemia e la crisi economica con enorme pragmatismo ma senza dimenticare i temi caratterizzanti della sua parte politica.

La nuova ondata di Covid del mese scorso, con un’impennata dei contagi, ha reintrodotto alcune norme su divieti di assembramento, capienze e uso delle mascherine nei luoghi chiusi ma ha portato anche a una massiccia accelerazione per la dose “booster” di rinforzo con campagne mediatiche e direttamente sui cellulari degli islandesi già vaccinati. La sanità pubblica inoltre garantisce i tamponi rapidi gratuiti a tutta la popolazione. L’ex ministra della salute, Svandís Svavarsdóttir della Sinistra verde, che aveva gestito fino a qui la pandemia, è stata spostata al ministero dell’alimentazione, pesca e agricoltura.

La riconfermata premier, Katrín Jakobsdóttir, ha parlato di «nuove sfide per un nuovo inizio» ben sapendo di essere elettoralmente più debole di 4 anni fa ma di continuare a godere di un forte consenso personale nel paese.