Quasi 3000 delegati, 4 giorni di dibattito, migliaia di poliziotti e soldati per garantire la sicurezza, centinaia di giornalisti. Sono questi i numeri della Loya Jirga, la grande assemblea che si apre oggi a Kabul, convocata dal presidente Hamid Karzai per discutere l’Accordo bilaterale di sicurezza con gli Stati uniti, dal quale dipende la presenza o meno sul suolo afghano dei soldati americani anche dopo il 2014, quando terminerà la missione Isaf.
Soltanto oggi verrà distribuito ai delegati – membri del parlamento e del senato, consiglieri provinciali, figure di spicco dell’establishment religioso, rappresentanti della «società civile», leader tribali – il testo dell’accordo. Il suo contenuto è rimasto a lungo misterioso. Le prime informazioni accurate sono arrivate soltanto il 16 novembre, quando Rangin Dadfar Spanta, consigliere del presidente Karzai per la sicurezza nazionale, e il generale Sher Mohammad Karimi, a capo dell’Esercito, hanno presentato la bozza di accordo al Parlamento.
L’accordo, ha spiegato Spanta ai parlamentari afghani, include 26 articoli e due “allegati”, avrà una durata di dieci anni (dal 1 gennaio 2015 fino alla fine del 2024), potrà essere prolungato per altri dieci e abrogato o modificato da una delle due parti soltanto con un anticipo di due anni. Non è chiaro se nel testo si faccia riferimento al numero di soldati americani. Spanta ha comunque confermato le voci che circolano da tempo: gli americani sono intenzionati a mantenere in Afghanistan dai 10 ai 16.000 soldati. A questi, ricorda Kate Clark dell’Afghanistan Analysts Network, vanno però aggiunti i contractors (oggi se ne contano 85.500 soltanto tra quelli assunti direttamente dal Dipartimento della Difesa americano), più gli agenti della Cia, sulle cui attività “coperte” sembra che il testo non preveda alcun articolo.
Sulle basi militari, il testo – nella versione dello scorso luglio ottenuta da NBC News – recita che gli Stati uniti non cercano «basi permanenti». Tuttavia, prevede che gli americani possano «avere accesso e usare le aree concordate» con il governo afghano, e che alcune di queste siano di loro uso esclusivo. Spanta ha chiarito anche questo: gli americani intendono gestire autonomamente la base militare di Bagram, la più ampia del paese, a nord di Kabul, e chiedono «ospitalità» a Kabul, Herat, Mazar, Kandahar, Shindand, Jalalabad, Helmand and Gardez.
L’accordo prevede inoltre l’impegno degli americani a intervenire in difesa dell’Afghanistan nel caso di un’aggressione politica, economica o militare, e contro ogni aggressione che miri a far cadere il governo dall’esterno o con attori interni sostenuti dall’esterno. Un punto sul quale Karzai ha ottenuto le garanzie che cercava, visto il timore delle interferenze esterne. La questione fondamentale su cui ha dovuto cedere è quella dello status dei soldati americani: nel caso commettano un crimine in territorio afghano, verranno giudicati secondo la legge degli Stati uniti, negli Stati uniti. Spanta ha dovuto ammettere la sconfitta, su questo punto, di fronte ai parlamentari, spiegando che per gli americani l’alternativa è semplice: accettare le loro condizioni o rinunciare al trattato. E, insieme, rinunciare a un mucchio di soldi, ha ricordato Spanta. Perché dalla firma dell’Accordo bilaterale di sicurezza dipende la volontà degli americani di sborsare la loro quota nel totale dei 16 miliardi di dollari in aiuti decisi nel luglio 2012 a Tokyo in favore dell’Afghanistan. E perché – lo ha ricordato il capo dell’Esercito, il generale Sher Mohammad Karimi – senza l’Accordo rischiano di saltare anche gli aiuti alle forze di sicurezza afghane. Al vertice della Nato del maggio 2012, la comunità internazionale si è impegnata a contribuire all’addestramento, all’equipaggiamento e al mantenimento delle forze di sicurezza locali con 4.1 miliardi di dollari fino al 2017. Di questi, almeno due miliardi sono stati promessi dagli Stati uniti, che ora usano la “leva” economica per convincere i 3.000 delegati della Loya Jirga ad avallare l’accordo. Probabilmente approveranno l’Accordo di sicurezza. Non è detto però che lo facciano, tra qualche settimana, i membri del Parlamento afghano, ai quali spetta l’ultima parola.